9 ottobre 2021

Riforma fiscale, deleghe a confronto. Perché questa volta dobbiamo crederci

Autore: Paolo Iaccarino
La recente approvazione da parte dell'esecutivo del disegno di Legge Delega ripropone al centro del dibattito politico i temi caldi, mai risolti, dell’ordinamento tributario. Dall’ultimo tentativo di riforma del sistema fiscale sono passati appena sette anni. Un’eternità se si considerano i risultati raggiunti.

Con la Legge 11 marzo 2014, n. 23, avente ad oggetto le disposizioni per la definizione di un sistema fiscale più equo, trasparente ed orientato alla crescita, l’esecutivo dell’epoca fu chiamato dal Parlamento a revisionare il sistema fiscale al fine, da un lato, di uniformare la disciplina riguardante le obbligazioni tributarie e, dall’altro, semplificare gli obblighi contabili e dichiarativi dei contribuenti. Sin dal conferimento della delega, la proposta di riforma fiscale del 2014 si presentò come un percorso orientato principalmente al contrasto dell’evasione e dell’elusione fiscale. In tal senso, quale asse cardinale della riforma, il Governo fu delegato ad introdurre una metodologia di rilevazione dell’evasione fiscale finalizzata alla definizione delle strategie per contrastare il fenomeno dell’evasione fiscale e contributiva.

Nell’aprire la stagione della compliance, tanto cara all’attuale Amministrazione Finanziaria, la principale linea di intervento fu quella di favorire l’emersione della base imponibile attraverso misure finalizzate al contrasto di interessi fra i contribuenti. Secondo il vecchio metodo del bastone e della carota, l’obiettivo della riforma del 2014 era quello di aumentare la propensione all’adempimento spontaneo da parte dei contribuenti, così liberando risorse da impiegare nella repressione dei fenomeni illegali.

L’attuale tentativo di riforma, per la verità, non dedica granché all'economia sommersa. Se si esclude la riduzione dell’evasione e dell’elusione quale principio generale per la riforma del sistema fiscale, elemento del tutto scontato rispetto agli obiettivi di riforma, la delega approvata in Consiglio dei Ministri si preoccupa di disegnare il fisco del futuro come se questo, diventando meno gravoso e più semplice, possa di per sé favorire l’adempimento spontaneo da parte dei contribuenti. Nel definire un sistema duale di imposizione, meno soggetto alle distorsioni fiscali connesse alla scelta delle forme organizzative e giuridiche, la riforma fiscale sembra avviarsi dal presupposto che il cambiamento non possa essere imposto dalle norme, ma debba essere favorito dal sistema.

In questo senso vanno lette la semplificazione degli adempimenti a carico dei contribuenti, l’eliminazione dei micro-tributi e la razionalizzazione delle misure agevolative, oggi intrappolate in una giungla di deduzioni e detrazioni. Nel preservare la progressività del sistema tributario, mentre nel precedente tentativo al centro della riforma vi erano i temi della revisione del sistema sanzionatorio, del rischio fiscale e dell'abuso del diritto, la riforma del 2021 si preoccupa di eliminare i numerosi ostacoli alla crescita ed allo sviluppo, sopratutto delle attività imprenditoriali.

Quella in corso è una riforma concettuale. Affermare un sistema duale che contrapponga l’imposizione proporzionale, per i redditi conseguenti all’impiego di capitali, a quella progressiva, in un percorso dichiarativamente orientato alla riduzione graduale delle aliquote medie effettive derivanti dall’applicazione dell’IRPEF, è già una rivoluzione. Questa volta, inoltre, la riforma non sembra essere un manifesto elettorale. Complice un governo tecnico che nulla deve al proprio elettorato, la riduzione delle imposte e la semplificazione degli adempimenti rispondono esclusivamente a logiche di sostenibilità del sistema, al suo interno, e di competitività, al suo esterno.

Con una riforma più concettuale e meno tecnica, l’esecutivo si pone l’ambizioso obiettivo di trasformare radicalmente il sistema tributario, avvicinandolo a quello delle maggiori economie sviluppate. Tentativo che, se portato davvero a termine, potrebbe aprire le porte di un futuro diverso in cui, come se non fosse già evidente, il sistema tributario diventi arma della politica economica del Governo e non semplicemente uno strumento di repressione finalizzato al mero reperimento delle risorse vitali dello Stato. Un tassello, almeno questa volta, per cambiare davvero il Paese.
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