24 marzo 2017

Seminario di Studi “Lo Statuto dei Lavori”.

Si terrà oggi, 24 marzo, nell’Auditorium Santa Margherita a Venezia il Seminario di Studi “Lo Statuto dei Lavori” organizzato dal Prof. Avv. Adalberto Perulli, Ordinario di Diritto del Lavoro, Direttore del Master I livello in Diritto del Lavoro e della Previdenza Sociale, Università Ca’ Foscari Venezia, alla presenza del Senatore On. Maurizio Sacconi, Presidente Commissione Lavoro del Senato.


Riceviamo e pubblichiamo le riflessioni del dott. Gian Piero Gogliettino, Dottore commercialista, segretario generale Associazione Nazionale Commercialisti Area Lavoro (ANCAL).

Intervento Venezia - Passo ora a declinare le mie brevi considerazioni sull’oggetto del seminario, che vorrei condividere con ciascuno di voi, non senza però – onde motivare la mia posizione propositiva - una propedeutica e specifica anamnesi normativa del lavoro, così da inquadrare compiutamente, anche sotto un profilo squisitamente teleologico, la riforma in discussione.
Partiamo, quindi, da un assunto che di fatto ha qualificato gli interventi normativi del diritto del lavoro degli ultimi vent'anni, a cominciare dal pacchetto Treu del 1997 fino ad arrivare al Jobs act dei giorni nostri: abbiamo assistito sempre più al passaggio da un paradigma statalista, costruito su un sistema di welfare di tipo assistenziale (c.d. welfare state), in ragione del quale lo Stato è stato il principale attore, con tutte le sue criticità e contraddizioni ben note agli addetti ai lavori, a un modello ordinamentale incentrato sulla sussidiarietà, di tipo orizzontale, in un’ottica di welfare society, rispetto al quale i diversi player del mercato del lavoro diventano e sono i protagonisti e motore pulsante, con l'obiettivo sovrano di favorire sempre più il matching tra domanda e offerta di lavoro.
Il tutto soprattutto tenuto conto del fatto che l'evoluzione dei modelli organizzativi è sempre più condizionato dai processi spietati della globalizzazione e sempre meno ispirata a logiche di stampo fordista.
In questa direzione, significativa è stata la riforma targata Biagi del 2003, il d.lgs. n. 276, il primo vero intervento normativo riformista e rivoluzionario, caratterizzatosi per avere un'anima, un'idea di funzionamento del mercato del lavoro ben chiara e secondo una precisa progettualità.
La recente proposta di riforma a firma del sen. Sacconi - rubricata Statuto dei lavori - che di fatto decreta la fine del diritto pesante del lavoro, potremmo considerarla l'atto finale di un progetto che viene, dunque, da lontano e che vede nell'affermazione dei corpi intermedi la chiave di volta e la regola principale di un mercato del lavoro che deve essere sempre più efficiente, efficace e inclusivo.
Anche se merita di essere attenzionata la circostanza che già alla fine degli anni '90 fu depositato un disegno di legge (n. 5651) di pari intestazione a firma del sen. Smuraglia, anche se incentrato sulla questione della qualificazione del rapporto di lavoro anziché delle tutele (v. progetto Biagi), a dimostrazione comunque del fatto che la nostra Costituzione (art. 35) - è da qui il riferimento al concetto di lavoro e non a quello di lavoratori - tutela il lavoro in tutte le sue forme, lasciando intravedere un ombrello protezionistico universale.
Quindi, uno spostamento della definizione delle regole sempre più da un livello centrale a uno territoriale, ovvero dalla legge alla contrattazione, collettiva e individuale, in quest’ultimo caso realizzata nelle c.dd. sedi protette, che nello Statuto dei lavori esce ulteriormente rafforzato nel segno della prossimità e quindi, sul piano individuale, della certificazione, favorendo così l’attualizzazione delle regole in ragione dei repentini cambiamenti economici.
Statuto dei lavori che, tralasciando il formalismo/l’ortodossia giuridica, si caratterizza nel garantire e fissare un nucleo di base di garanzie trasversali, inderogabile, a prescindere dalla fattispecie contrattuale o dalla qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato o autonomo, definendo così un sistema di tutele a geometria variabile.
Anche perché oggi, volendo individuare la parte debole del rapporto di lavoro, il criterio da seguire è certamente quello della c.d. dipendenza economica, che è un elemento trasversale (v. Jobs act autonomi), perdendo così smalto la vecchia contrapposizione autonomo/subordinato, e quindi tutti quegli artifici normativi-giurisprudenziali basati sulla dicotomia eterodirezione-etero-organizzazione.
In questo contesto, nel pieno della quarta rivoluzione industriale, il lavoratore diventa il vero protagonista del proprio destino, del proprio successo lavorativo, in una logica proattiva e di occupabilità, non certamente abbandonato a se stesso, ma affiancato e protetto da una rete di soggetti intermediari specializzati, sia pubblici che privati, in ragione di un percorso calibrato, personalizzato, rispetto alla propria profilazione, che pone il LAVORO come epicentro, con una sua dichiarata valenza antropologica, e non il posto di lavoro, nel pieno rispetto della Carta Costituzionale e dei principi europei. Il tutto esalta, e non mortifica, la dimensione individuale dell'uomo, anche quale lavoratore, la sua dignità economica e sociale, rispetto alla quale lavoro e formazione continua diventano il paradigma strutturale, un assioma indispensabile e imprescindibile.
Quindi, parole d'ordine sono Statuto dei lavori, prossimità e certificazione, ovvero un modello lavoristico costruito sull'equilibrio tra legge-quadro e contrattazione, Biagi docet. Ne deriva la centralità delle relazioni industriali, a cui si deve aggiungere, necessariamente, un modello di welfare - nell'ottica della flexsecurity - composto da previdenza, assistenza e autosufficienza, al servizio del lavoratore, che integri così il pilastro pubblico, non più capace di affrontare da solo - soprattutto in termini di risorse finanziarie - le nuove e incessanti sfide del mercato del lavoro, incalzato dalla globalizzazione.
Tutto ciò richiede necessariamente e propedeuticamente un cambio di passo, una svolta soprattutto di tipo culturale che deve coinvolgere, innanzitutto, coloro i quali devono attuare le stesse innovazioni lavoristiche.
E’ quindi, necessario, un sistema efficace della formazione, quale misura significativa di politica attiva del lavoro. In questa direzione, e per questo va elogiato e lo dico anche quale segretario generale del sindacato dei commercialisti dell’area lavoro (ANCAL), in ragione della crescita professionale delle nuove generazioni, il Master che oggi ci apprestiamo a celebrare nella sua fase conclusiva, per gli iscritti all'a.a. 2015/2016.
Per relationem, però, onde garantire il maggior successo della riforma, su un piano squisitamente teleologico, è necessario un allargamento della platea degli operatori/intermediari qualificati del mercato del lavoro, anche in tal caso attraverso una logica inclusiva, non prestando il fianco a regimi meramente oligopolistici, corporativi, molto spesso autoreferenziati, che altro non farebbero se non mortificare/impedire la realizzazione della finalità nobile e pubblicistica sottesa alla norma, ovvero l'inclusione del lavoratore, la buona occupazione, così favorendo il matching tra domanda e offerta di lavoro.
Grazie.
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