20 aprile 2018

Bonus prima casa. Il lavoro prevale sulla residenza

Autore: Paola Mauro
La prova dello svolgimento dell'attività lavorativa nel Comune dove si trova la “prima casa” permette all’acquirente di conservare l'aliquota agevolata, in caso di trasferimento tardivo della residenza.

È quanto emerge dalla sentenza n. 344/02/2018 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio.

La controversia esaminata dai giudici laziali riguarda due coniugi che si sono resi acquirenti di un immobile nel Comune di Fiuggi e che hanno stabilito la residenza nel predetto Comune due giorni dopo la scadenza del termine di legge (diciotto mesi a far data dall'acquisto).

L’Agenzia delle entrate, in ragione del fatto che i coniugi avevano dichiarato in atto di voler trasferire la residenza e che tale trasferimento era avvenuto tardivamente, ha revocato le agevolazioni fiscali “prima casa”, con recupero delle maggiori imposte e applicazione della sanzione.

Ebbene, l’operato dell’amministrazione è stato sconfessato dalla CTP di Roma, prima, e dalla CTR del Lazio, poi, sulla base del rilievo che i contribuenti erano comunque in possesso dei requisiti necessari per fruire dell’agevolazione:
  • posto che l’immobile era ubicato nel luogo di svolgimento dell’attività lavorativa.

In particolare, la CTR capitolina, respingendo il ricorso dell’Ufficio avverso la sentenza di primo grado, osserva: «La sentenza impugnata non è meritevole di censura, poiché ha evidenziato che la famiglia (OMISSIS) da ben 18 anni vive stabilmente a Fiuggi, dove i due contribuenti coniugi prestano la loro attività lavorativa, l'uno dall'1/10/1994 e l'altra dal 14/11/1995. Rientrano quindi pienamente nella fattispecie dell'agevolazione fiscale prevista se l'immobile acquistato è ubicato nel luogo in cui l'acquirente svolga la propria attività. Il fatto che abbiano dichiarato di voler trasferire anche la propria residenza a Fiuggi (come effettivamente avvenuto anche se con un ritardo di soli due giorni rispetto al termine previsto) non costituisce in alcun modo rinunzia ad avvalersi del requisito, in loro possesso e ben evidenziato nel giudizio, dello svolgimento dell'attività lavorativa nel comune in cui è ubicato l'immobile acquistato. I due contribuenti erano quindi in possesso dei requisiti previsti per le agevolazioni fiscali di acquisto di prima casa. L'appello non è pertanto meritevole di accoglimento».

Poiché i contribuenti-coniugi non si sono costituti nel giudizio di appello, la Commissione regionale di Roma non ha disposto il rimborso delle spese del giudizio in favore dell’Agenzia delle Entrate.

In fattispecie sostanzialmente analoga, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3457/2016, ha fornito una differente interpretazione della norma agevolatrice; secondo detta ordinanza, infatti, l’acquirente, che non ha rispettato l’impegno, assunto al momento del rogito, di trasferire la propria residenza entro diciotto mesi nel Comune dove si trova l’immobile oggetto dell’agevolazione “prima casa”, decade dal beneficio, anche in presenza del requisito alternativo del luogo di lavoro. (La S.C. ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate, che aveva lamentato la violazione e falsa applicazione di legge, laddove la CTR del Lazio ha disposto l’annullamento dell’atto di revoca dell’agevolazione “prima casa”, ritenendo sufficiente la prova dello svolgimento dell'attività lavorativa da parte del contribuente nel Comune di ubicazione dell'immobile. La difesa erariale ha sostenuto che non è ammissibile la prevalenza della realtà fattuale su quella formale, e i giudici di legittimità gli hanno dato ragione).
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