21 giugno 2018

Licenziamento illegittimo: non sempre la tutela è reale

Autore: Redazione Fiscal Focus
La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10435 del 2 maggio 2018, chiarisce per la prima volta la portata applicativa del comma 7 dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori come novellato dalla legge Fornero del 2012, riguardo la tutela “reintegratoria” nell’ipotesi di «manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo».

Il caso di specie - Il caso preso in esame dalla Corte riguarda il licenziamento di un dipendente di Verona Fiere avvenuto nell’ambito di una riorganizzazione dell’impresa che aveva esternalizzato le attività grafiche svolte dal dipendente. Il datore di lavoro non aveva però preliminarmente proceduto a verificare la possibilità di reimpiego in altri settori, anche tenuto conto del fatto che in quello stesso periodo vi erano state delle nuove assunzioni. La Suprema corte, respingendo il ricorso del lavoratore che chiedeva di essere reintegrato, ha ribadito l’illegittimità del licenziamento e confermato la tutela “indennitaria” – pari a 15 mensilità –, motivandola con l’«insufficienza probatoria concernente l’adempimento dell’obbligo di repêchage».

Il parere della Cassazione - I giudici di legittimità, affermando un principio di diritto, hanno poi delimitato la tutela reale. «La verifica del requisito della “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento” – spiega la Cassazione – concerne entrambi i presupposti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e, quindi, sia le ragioni inerenti all’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore». «La “manifesta insussistenza” – prosegue la decisione – va riferita ad una evidente, e facilmente verificabile sul piano probatorio, assenza dei suddetti presupposti a fronte della quale il giudice può applicare la disciplina di cui al comma 4 del medesimo art. 18», vale a dire la reintegra, «ove tale regime sanzionatorio non sia eccessivamente oneroso per il datore di lavoro».

«Nella nozione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo – spiega ancora la decisione – rientra sia l’esigenza della soppressione del posto di lavoro, sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore, il riferimento legislativo alla “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento” va inteso con riferimento a tutti e due i presupposti di legittimità della fattispecie». Quindi, una volta accertata l’ingiustificatezza del licenziamento per carenza di uno dei due presupposti (nel caso, l’obbligo del repêchage), il giudice di merito, ai fini del regime sanzionatorio, deve verificare «se sia manifesta ossia evidente l’insussistenza anche di uno solo degli elementi costitutivi del licenziamento, cioè della ragione inerente l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro o il regolare funzionamento di essa che causalmente determini un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa, ovvero della impossibilità di una diversa utilizzazione del lavoratore licenziato in mansioni diverse». «Il concetto di “manifesta insussistenza” – prosegue la sentenza – dimostra che il legislatore ha voluto limitare ad ipotesi residuali il diritto ad una tutela reintegratoria»; e cioè ai casi di «chiara pretestuosità del recesso».

Inoltre, prosegue la Corte, ai fini della applicazione della tutela reale, «la legge non fornisce nessuna indicazione per stabilire in quali occasioni il giudice possa attenersi al regime sanzionatorio più severo o a quello meno rigoroso», tuttavia sul piano esegetico il ricorso ai principi generali del diritto civile «permette di configurare un parametro di riferimento per l’esercizio del potere discrezionale del giudice, consentendogli di valutare, per la scelta del regime sanzionatorio, se la tutela reintegratoria sia, al momento di adozione del provvedimento giudiziale, sostanzialmente incompatibile con la struttura organizzativa medio tempore assunta dall’impresa». Mentre «una eventuale accertata eccessiva onerosità di ripristinare il rapporto di lavoro può consentire, dunque, al giudice di optare – nonostante l’accertata manifesta insussistenza di uno dei due requisiti costitutivi del licenziamento – per la tutela indennitaria».

Valutazione di legittimità - Dall’esame della sentenza condotto dalla Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, si evince come la pronuncia sia fondata sul riconoscimento della considerazione unitaria di due elementi che, insieme, legittimano il licenziamento per giustificato motivo oggettivo:
  • esigenza della soppressione del posto di lavoro;
  • impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore interessato.

Stando al tenore letterale della norma, il giudice può, ma non è obbligato, riconoscere il diritto alla conservazione del posto di lavoro, optando tra il regime sanzionatorio più severo o quello indennitario, alla luce della verifica della eventuale eccessiva onerosità in caso di reintegrazione.

Viene ribadito inoltre il principio secondo il quale la ragione giustificatrice del licenziamento inerente all’attività produttiva è quella che determina un effettivo ridimensionamento riferito alle unità di personale impiegate in una ben individuata posizione lavorativa, a prescindere dalla ricorrenza di situazioni economiche sfavorevoli o di crisi aziendali.
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