2 agosto 2018

Operazioni inesistenti ed onere della prova

Autore: Giovambattista Palumbo
In caso di contestazione per operazioni inesistenti non sono inutilizzabili, per assenza di contraddittorio, gli elementi posti a base dell'avviso rinvenuti nel corso delle indagini su terzi venditori. La portata presuntiva di dati direttamente riferibili al contribuente non è subordinata alla interlocuzione tra fisco e contribuente nel corso di accertamenti a carico di terzi. E spetta comunque al contribuente la prova della non veridicità delle registrazioni dei ricavo e della relazione di diretta afferenza tra componenti positivi e componenti negativi relativi a beni non effettivamente scambiati.

Il caso – La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 19005 del 17/07/2018, ha chiarito importanti profili probatori in tema di contestazioni per operazioni inesistenti.

Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale della Puglia dichiarava illegittimo l'avviso emesso dalla Agenzia delle Entrate, ritenendo che la rettifica, riferita alla falsa fatturazione di acquisti di ingenti quantitativi di olio, era stata eseguita sulla base delle risultanze di accertamenti svolti nei confronti di ipotetici venditori, senza però che il contribuente fosse stato posto in grado di parteciparvi e considerando come indicativi della inesistenza degli acquisti elementi, tra i quali la irragionevolezza degli acquisti rispetto alla dimensione e al tipo di attività del contribuente (venditore ambulante di frutta e verdura), l'inidoneità dell'unico mezzo a disposizione del contribuente (un autocarro di portata di 10 quintali) a trasportare i quantitativi di olio fatturati, la mancanza di personale dipendente in grado di lavorare la materia prima apparentemente acquistata e la mancanza di locali atti al relativo immagazzinamento, che, secondo il giudice di merito, avrebbero potuto essere considerati veramente tali solo se il medesimo contribuente avesse avuto modo di interloquire nel corso dell'attività di accertamento.
Dall'altro lato, la CTR rileva anche che l’Amministrazione aveva aumentato l'imponibile dichiarato dei costi delle operazioni fittizie, senza però sottrarre dall'ammontare del reddito dichiarato i ricavi corrispondenti.

L'Agenzia delle entrate ricorreva quindi per la cassazione della sentenza, lamentando che la CTR aveva, a suo avviso, falsamente applicato l'art. 39, comma 1, lett. c) del D.P.R. 600/73, e gli artt. 2697 e 2727 c.c., laddove aveva escluso la valenza probatoria sia degli elementi acquisiti presso i terzi cessionari, sia degli elementi direttamente riferiti al contribuente, sul solo ed erroneo presupposto che, per riconoscere tale valenza, sarebbe stato necessario che il contribuente avesse potuto esercitare il diritto al contraddittorio durante gli accertamenti nei confronti dei terzi.

Con un secondo motivo di ricorso, l'Agenzia lamentava inoltre che la Commissione avesse erroneamente ritenuto che l'ufficio, corrispondentemente all'aumento dell'imponibile per i costi delle operazioni ritenute fittizie, avrebbe dovuto ridurre i redditi dichiarati, in ragione dei ricavi non conseguiti, senza considerare però che non vi era in realtà alcun nesso di implicazione necessaria tra costi dichiarati per operazioni inesistenti e ammontare dei ricavi dichiarati, e che degli eventuali minori ricavi il contribuente non aveva comunque dato alcuna prova.

La decisione - I motivi di ricorso, secondo la Suprema Corte, erano fondati, in quanto la CTR, annullando l'avviso in ragione della ritenuta inutilizzabilità degli elementi posti a base dell'avviso per assenza di contraddittorio nel corso delle indagini sui terzi venditori, ed in ragione della ritenuta sussistenza di ricavi fittizi di cui l'ufficio non aveva tenuto conto, aveva falsamente applicato l'art.39, comma 1, lett.c) d.P.R. 600/73, che consente di procedere alla rettifica del reddito del contribuente anche quando l'incompletezza della dichiarazione risulti "dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti", senza subordinare l'utilizzabilità dei dati alla preventiva interlocuzione con il contribuente medesimo (cfr., Cass.13 luglio 2017, n. 17260).

I giudici di appello, inoltre, avevano falsamente applicato gli artt. gli artt. 2697 e 2727 c.c. che non condizionano la portata presuntiva di dati direttamente riferibili al contribuente alla interlocuzione tra fisco e contribuente nel corso di accertamenti, a carico di terzi, in esito ai quali quei dati sono emersi ed avevano falsamente applicato l'art. 2697 c.c. laddove avevano assunto che l'ufficio, recuperati a tassazione i costi delle operazioni fittizie, avrebbe dovuto correlativamente ridurre i ricavi, senza però considerare che, non sussistendo automatismo tra la ritenuta fittizietà e tale riduzione, in tanto l’Amministrazione avrebbe dovuto operare la riduzione, in quanto il contribuente avesse dato prova della non veridicità delle registrazioni dei ricavi.

Su tale ultimo punto, del resto, la Corte rileva che, ai sensi dell'art.8, co.2, D.L. 2 marzo 2012, n. 16, convertito dalla L. 26 aprile 2012, n. 44, secondo cui "Non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati", spettava comunque al contribuente provare la specifica relazione di 'diretta afferenza' tra i componenti positivi (ricavi) ed i componenti negativi relativi a beni non effettivamente scambiati (v. già Cass. Sentenza n. 7896 del 20/04/2016).

Conclusioni - Se dunque è legittima la determinazione dei ricavi effettuata in modo analitico-induttivo, anche in presenza di una contabilità formalmente corretta, ma di cui sia provata, in base ad "altri dati e notizie" raccolti nei modi prescritti dagli artt. 32 D.P.R. 600/73 e 51 D.P.R. 633/72, l'intrinseca inattendibilità, non bisogna altresì dimenticare il disposto dell'art. 39, comma primo, lett. c), D.P.R. 600/73, che "consente di procedere alla rettifica del reddito anche quando l'incompletezza della dichiarazione risulta dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti" (cfr 25643/15; 9210/11; 28342/05).

Nondimeno, una volta che l'esistenza di attività non dichiarate sia desumibile anche sulla base di presunzioni semplici originate dagli accertamenti condotti presso terzi e dai dati e dalle notizie che l'amministrazione abbia appreso all'esito degli stessi, tale procedura genera gli effetti propri della prova per presunzioni della condotta evasiva, rispetto alla quale non solo non è oppostamente invocabile la regolarità formale della contabilità tenuta dal contribuente, ma neppure è sostenibile che l'amministrazione debba assolvere un onere probatorio ulteriore, essendo invece il contribuente, in ossequio alle regole che governano la ripartizione dei compiti probatori, tenuto a dare la prova dei fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa erariale.
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