mercoledì, 14 maggio 2025

18 aprile 2020

Le riscoperte della quarantena

Autore: Ester Annetta
Ho provato un senso di incredulità ma ancor più di commozione quando, qualche sera fa, durante quelle “vacanze di Pasqua” che, in un tempo che già di per sé sembra di vacanza infinita, mi sono sembrate alquanto bislacche, mio figlio ha esclamato sospirando: “Vorrei tanto ritornare a scuola!”

Frequenta l’ultimo anno di liceo e, dapprincipio, l’idea che la scuola potesse ritenersi ormai chiusa quando, la sera del 4 aprile, il Ministro Azzolina ha annunciato la sospensione delle attività didattiche, lo aveva mandato in tripudio, come tutti i suoi coetanei, ritengo.
Subito dopo sono iniziate le videolezioni, quel rivoluzionario ma pesantissimo modo di insegnare a distanza che, in men che non si dica, ha invaso le dimore di tutti gli italiani, costringendo migliaia di famiglie a fare turni straordinari di assistenza ai vari figli che magari si contendono l’unico computer di casa.

Poi è giunta la notizia che quella modalità sarebbe proseguita, con la possibilità di divenire definitiva fino alla chiusura dell’anno scolastico e persino alla sua ripresa, a settembre.

Tutto sarebbe stato conseguentemente semplificato: compiti, valutazioni, promozioni e persino le prove finali, quei famigerati esami “di maturità” (come si chiamavano prima che quel temine fosse bandito perché troppo discriminante) che hanno terrorizzato generazioni intere, chiamate a confrontarsi per la prima volta con una prova seria ed impegnativa che avrebbe testato il loro grado di autonomia, le loro capacità logiche ed interconnettive, la loro preparazione generale, fungendo altresì da apripista ad una lunga serie di esami futuri. Un impegno considerevole e formativo (forse più per la sua struttura che per i suoi contenuti… ma questa è un’altra storia) che, invece, a causa delle precauzioni imposte col distanziamento sociale, è stato messo da parte, superato da una nuova formula che, non solo vedrà tutti ammessi e promossi, ma si svolgerà con criteri molto più semplici ed “agevolati”, richiedendo ai nostri ragazzi di muoversi ancora una volta in quell’universo della virtualità a loro così familiare, con la protezione di una “commissione-chioccia” composta da soli membri interni e senza prove scritte.

Una pacchia, insomma.

Eppure, quell’esclamazione di mio figlio di qualche sera fa mi ha fatto riflettere sulla possibilità, nient’affatto remota, che quello che, in un primo momento, sarà apparso a migliaia di studenti come un inaspettato dono del cielo, si sia invece rivelato col tempo una vera e propria trappola.

Da che è iniziato l’isolamento, i nostri ragazzi impiegano quel tempo che anche a loro deve sembrare infinito e noioso alternando passaggi compulsivi da un social all’altro a vere e proprie derive alle consolle di videogiochi, arrivando persino ad invertire i loro ritmi circadiani, avvinti da interminabili partite che si protraggono fino all’alba. Recuperano poi il sonno durante il giorno, svegliandosi solo per seguire – con una dose davvero irrisoria di concentrazione – la videolezione di turno, perlopiù oscurando telecamera e microfono così che alla loro presenza fittizia in un’aula altrettanto fittizia possa di fatto corrispondere il loro impegnarsi in tutt’altro, compresa la ripresa del sonno interrotto.
Smettono di lavarsi, smettono di vestirsi, trasformano le loro camere in antri inaccessibili, dove acari e moscerini bivaccano allegramente, tra torsoli di mele e calzini spaiati.

È il trionfo della debosciatezza e dell’indolenza che, alla lunga, stanca più d’ogni fatica.

“Vorrei tanto tornate a scuola” è un grido d’aiuto, una richiesta implicita di allentare questo circolo vizioso di virtualità in cui ha finito per collocarsi la vita di tanti ma degli adolescenti ancor di più.

Anche chi ha sempre fatto dei social e delle chat lo schermo dietro cui nascondersi per sembrare altro e diverso, per spiare o per mostrarsi, per vestirsi di quel coraggio che il più delle volte è mancante nella realtà, è ormai saturo, come capita tutte le volte che l’eccesso porta al disgusto.
Quello che non avremmo mai pensato potesse accadere alle moderne generazioni di nativi digitali si è invece verificato: hanno fame di socialità, di relazioni vere – non importa quanto autentiche – ma concrete, fatte di sguardi, di palmi battuti contro palmi nello schiocco di un “cinque”, di spintonamenti, di sedili d’auto, di sigarette e birre “smezzate” e, finalmente, di parole.

Allora forse questa cattività non è stata così dannosa se, sacrificando la socialità, ne ha fatto riscoprire il valore anche a chi era più scettico, odioso, distaccato. Ha contrapposto al distanziamento sociale una prossimità di spirito e di volontà, inducendo a riscoprire il valore di quella vicinanza reale che per troppo tempo le nuove tecnologie di comunicazione hanno immolato. Ha rivelato ai nostri “onnipotenti” adolescenti quanto sia profondo il bisogno di condivisione tra simili, quello che non si traduce in un like o in una freccia di rimando, ma nel reale ritrovarsi, guardarsi, ascoltarsi.

“Vorrei tanto tornare a scuola”. Credo che mio figlio abbia superato il suo più importante esame di maturità.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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Foto profilo
18/04/2020
FRANCESCO COLOMASI

Bellissimo