17 giugno 2019

Dichiarazione infedele. L’accomandatario risponde per intero non pro quota

La quota di partecipazione non limita la responsabilità per l’infedele dichiarazione e la successiva confisca

Autore: Redazione Fiscal Focus
Nel procedimento per il reato di dichiarazione infedele1, la quota di partecipazione alla società in accomandita semplice non ha alcuna incidenza ai fini del calcolo della soglia di punibilità con riferimento al socio accomandatario, nel senso che non è ammessa la frammentazione dell’imposta evasa giacché al predetto è riferibile la dichiarazione dell’ente e la finalità di evasione va intesa come riguardante anche il soggetto giuridico nel cui interesse si agisce.

È quanto emerge dalla lettura della sentenza n. 19228/2019 della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione.

Il caso
La Corte di Appello, a conferma della sentenza di prime cure, ha condannato l’imputata alla pena di un anno di reclusione per avere, quale legale rappresentante e socio accomandatario, al fine di evadere le imposte sui redditi, indicato nella dichiarazione annuale riferita alla SAS presentata per il 2009, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, con conseguente configurazione del reato ex art. 4 D.lgs. n. 74/00.

L’imputata ha impugnato la condanna lamentando, in sostanza, che la ricostruzione della fattispecie, nel suo caso, avrebbe implicato il riferimento alle quote di partecipazione di ciascun socio della società di persone, con conseguente frammentazione dell'imposta evasa ai fini della verifica del superamento della soglia di punibilità.

Secondo la ricorrente, la Corte territoriale avrebbe dovuto considerare che, ai fini della rilevanza penale della condotta, si dovrebbe avere riguardo alla quota di reddito imputabile ai fini fiscali ai singoli soci e non all’intera compagine societaria, posto che nelle società di persone, ai fini IRPEF, i redditi prodotti sono imputati a ciascun socio pro quota e sono questi ultimi a dovere dichiarare, indipendentemente dall’effettiva percezione, il reddito di partecipazione in sede di redazione della loro dichiarazione dei redditi.

Solo in tale prospettiva, quindi, la Corte di merito avrebbe dovuto compiere – secondo la Difesa - la valutazione circa la soglia di legge prevista per la punibilità del reato; soglia che sarebbe risultata insuperata, atteso che la quota di partecipazione societaria dell’imputata è pari solo al 20%.

Secondo la Difesa, inoltre, la Corte di merito non avrebbe dovuto confermare la confisca per equivalente per l'intero ammontare dell’imposta evasa perché, in applicazione dell'art. 5 del TUIR, essendo il reddito delle società semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice, imputabile a ciascun socio indipendentemente dalla percezione e in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili, tale limitazione avrebbe imposto di circoscrivere la confisca all'ammontare di imposta evasa corrispondente alla quota di partecipazione agli utili della ricorrente, pari al 20%.

Ebbene, questi rilievi difensivi non hanno trovato conforto presso i Supremi Giudici, che pertanto hanno rigettato il ricorso.

La decisione della S.C.
Gli Ermellini, muovendo dalla disposizione dell'art. 1 del D.lgs. n. 74/2000 - secondo cui per dichiarazioni «si intendono anche le dichiarazioni presentate in qualità di amministratore, liquidatore o rappresentante di società, enti o persone fisiche o di sostituto di imposta nei casi previsti dalla legge» e «il fine di evadere le imposte ed il fine di sottrarsi al pagamento si intendono riferiti alle società, all'ente o alla persona fisica per la quale agisce» - hanno sottolineato che le norme incriminatrici trovano applicazione, oltre che in caso di coincidenza tra il soggetto attivo e il contribuente persona fisica, anche nei confronti di chi opera nelle predette qualità così da essergli riferibile la dichiarazione dell'ente, laddove la finalità di evasione va intesa come riguardante anche il soggetto giuridico nel cui interesse si agisce.

Gli Ermellini hanno aggiunto che la fattispecie di cui all'art. 4 D.lgs. n. 74/00 s’incentra letteralmente sulla presentazione della dichiarazione annuale, senza altra distinzione o specificazione, che neppure compare in sede di definizione della nozione di «dichiarazione» e della finalità di «evasione», entrambe riferite semplicemente a «società, enti o persone fisiche», senza alcuna ulteriore distinzione "interna" agli enti.

Conseguentemente, nella sentenza in esame si legge che:
  • in caso di «dichiarazione infedele presentata da chi amministri una società di persone e più in particolare dal socio accomandatario, la norma incriminatrice pone a carico di costui, nella veste rappresentativa così assunta e tale da imporre a suo carico l'obbligo dichiarativo, la condotta penalmente rilevante; con l'ulteriore portato della inevitabile valutazione unitaria, siccome riguardante la società di riferimento cui inerisce la dichiarazione, della imposta evasa, anche ai fini della verifica della soglia di punibilità».

Così operando l’art. 4 del D.lgs. 74/00 nei confronti dell'amministratore della società, il ricorso è risultato infondato anche rispetto al motivo relativo alla disposta confisca per equivalente.

Al riguardo, i Massimi giudici scrivono: «Invero, in rapporto di stretta coerenza con l'illustrata rilevanza, nell'ambito della fattispecie penale in esame, da una parte della presentazione di una dichiarazione fiscale con inserimento per l'anno di riferimento di elementi passivi fittizi o comunque di dati che rendono quella dichiarazione infedele, dall'altra della posizione di rappresentanza e gestione fiscale della società in accomandita semplice assunta dal socio, si pone anche il principio già affermato da questa Corte secondo cui in tema di reati tributari il sequestro preventivo per equivalente in funzione della confisca prevista dall'art. 12-bis, d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 può essere disposto, entro il limiti quantitativi del profitto, indifferentemente nei confronti di uno o più degli autori della condotta criminosa, non essendo ricollegato all'arricchimento personale di ciascun concorrente bensì alla corresponsabilità di tutti nella commissione del reato» (Cass. pen. Sez. 3, n. 56451/2017).

In conclusione, il Collegio di legittimità ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 2.000 euro in favore della cassa delle ammende.

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1D.lgs. 10/03/2000 n. 74
Art. 4 - Dichiarazione infedele
(Testo in vigore dal 22/10/2015)
« 1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente:
a) l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centocinquantamila;
b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro tre milioni.
1-bis. Ai fini dell'applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali.
1-ter. Fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b).»
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