21 novembre 2018

Non si trova lavoro ma le imprese hanno bisogno di assumere!

Autore: Mattia Gigliotti
Il tasso di disoccupazione italiano registra, come noto, valori a due cifre. Per questo motivo i nostri giovani sono spesso obbligati a cercare lavoro all’estero per non rimanere alle “dipendenze economiche” della propria famiglia.

Ma siamo proprio sicuri che il problema sia da ricercare “solamente” nella mancanza di lavoro?
A giudicare dal contenuto di un recente rapporto Unioncamere – Anpal sembrerebbe di no.

Il richiamato rapporto, infatti, illustra la difficoltà di reperimento dichiarata dalle imprese che risulta essere in crescente aumento (passata dal 25% al 30% rispetto a un anno fa), con incrementi più evidenti tra gli operai specializzati, le professioni tecniche e le professioni esecutive nel lavoro d’ufficio (tra +7,3 e + 5,9 punti percentuali).

In vista dell’intensificarsi delle consegne nell’ultima parte dell’anno, poi, il rapporto evidenzia anche la crescita della domanda di profili da utilizzare nell’area della logistica, soprattutto nell’ambito dei trasporti e distribuzione.

A leggere questi dati, dunque, c’è qualcosa che non torna: com’è possibile che un’elevata disoccupazione sia accompagnata dalla difficoltà delle imprese a reperire risorse umane da impiegare nel proprio organico?

Per comprendere le ragioni di questo paradosso occorre, semplicemente, analizzare il fenomeno da un diverso punto di osservazione, nel senso che la mancanza di incontro tra domanda ed offerta di lavoro (mismatch) si genera e tende a crescere perché, nella maggior parte dei casi, le persone in cerca di lavoro hanno una formazione che nulla a che fare con i profili richiesti dalle imprese.

Probabilmente a causa di perduranti retaggi culturali, infatti, molti dei giovani in cerca di lavoro hanno ricevuto una formazione umanistica che fonda le sue ragioni su un assunto ormai anacronistico: chi è più propenso allo studio si iscrive al liceo, chi lo è di meno si iscrive ad istituti tecnici o professionali.

Se in passato, dunque, tale modo di pensare poteva trovare fondamento nella garanzia di un posto di lavoro meno faticoso (magari nel pubblico impiego) rispetto a chi avesse ricevuto una formazione professionale, oggi – con dati alla mano - è un concetto del tutto superato.

Ai nostri giorni, infatti, le figure professionali più ricercate sono quelle con competenze digitali (importanti per il 61,2% dei profili previsti in entrata), seguite da quelle con capacità matematiche e informatiche (rilevanti nel 43,1% dei casi). Il mercato del lavoro, inoltre, richiede flessibilità e adattamento, problem solving e autonomia operativa. Tutti settori in cui la sola formazione umanistica è insufficiente a consentire un facile accesso nel mondo del lavoro.

Sarebbe, dunque, preferibile orientare gli studi verso una formazione professionale specializzante, per garantire una maggiore possibilità di inserimento lavorativo e, in quest’ottica, gli istituti tecnici superiori (ITS) potrebbero rappresentare una concreta opportunità.
Si tratta di scuole professionalizzanti post diploma ideate per formare figure professionali dotate di un’alta specializzazione tecnologica in grado di consentire un inserimento qualificato nel mondo del lavoro che, secondo alcune statistiche, nell’80 per cento dei casi consente di trovare un impiego entro il primo anno dal conseguimento del titolo.

Questa linea di pensiero è emersa anche nell’incontro tenutosi il 19 novembre tra Assolombarda, CGIL, CISL e UIL sul valore dell’alternanza scuola – lavoro, considerata un’opportunità per tutti i soggetti coinvolti.
In occasione del suddetto incontro, il presidente Piccola Industria di Assolombarda Alessandro Enginoli, l’ha definita, infatti, “un’importante opportunità per conoscere le dinamiche del mondo del lavoro che può consentire ai ragazzi di orientarsi nel loro futuro personale e professionale”.

In questa prospettiva, dunque, l’alternanza scuola-lavoro può (e deve!) essere considerata una strada privilegiata da seguire per consentire ai nostri giovani un futuro lavorativo meno incerto di quello attuale e magari un modo per colmare il gap tra domanda ed offerta di lavoro che, a quanto pare, è in continua crescita.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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