24 settembre 2018

Omissione Iva poco sopra la soglia. Resta la condanna

Autore: Paola Mauro
La Corte di Cassazione (Sez. 3 Pen.), con la Sentenza n. 14595/2018, ha ribadito il principio secondo cui, nel reato di omesso versamento di IVA, la causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p. è applicabile soltanto alle omissioni “per un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilità”, attualmente fissata in 250mila euro.

Gli Ermellini hanno confermato la sentenza della Corte d’Appello di Milano che, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato l’imputato alla pena di otto mesi di reclusione per aver omesso di versare – quale liquidatore della società – l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare pari a 254.345,00 euro, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, così incorrendo nel reato previsto dall’articolo 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000.

Per quanto è qui di interesse, la Difesa ha invocato l’applicazione della causa di non punibilità ai sensi dell'art. 131-bis c.p., facendo leva sulla nuova soglia di punibilità introdotta nelle more del giudizio di secondo grado dall'articolo 8 del D.Lgs. n. 158 del 2015, il quale ha elevato da 50.000 a 250.000 euro la soglia prevista dall’art. 10-ter cit.

Quanto alle precedenti condanne subite dall’imputato (di cui due per il reato di omesso versamento di contributi previdenziali e assistenziali e due per il reato di omesso versamento di ritenute certificate), la Difesa ha osservato che gli importi non versati erano ormai "sotto soglia", sicché la Corte di merito avrebbe dovuto escludere l’abitualità della condotta, ostativa all’applicazione della speciale causa di non punibilità.

L’articolo 131-bis c.p. stabilisce che non sono punibili i reati per cui è prevista una pena detentiva non superiore a cinque anni, oppure la pena pecuniaria, sola o congiunta alla pena detentiva, quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, comma 1, cod. pen., l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. La norma chiarisce che «Il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate».

Ebbene, nel caso che ci occupa, la Terza Sezione Penale del Palazzaccio ha ribadito il principio secondo il quale, in tema di omesso versamento di IVA, la causa di non punibilità della "particolare tenuità del fatto", prevista dall'art. 131-bis c.p., è applicabile soltanto alla omissione per un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilità, fissata a 250.000 euro dall'art. 10-ter D.Lgs. n. 74 del 2000, in considerazione del fatto che il grado di offensività che dà luogo a reato è già stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia di rilevanza penale (così Cass. Pen. Sez. 3, n. 13218 del 2016 e n. 40774 del 2015).

Gli Ermellini, quindi, non hanno accolto la richiesta dell’imputato.

In proposito la sentenza in esame spiega che l'offesa può essere ritenuta di particolare tenuità quando «il danno sia esiguo e, dunque, secondo il significato letterale del termine, scarso, trascurabile, quasi insignificante. Lo scostamento di 4.345,00 euro rispetto alla soglia di punibilità non può affatto definirsi "esiguo", come invece sostiene il ricorrente (sia pure ai fini della contestazione del trattamento sanzionatorio). Si tratta di considerazione che assorbe le questioni proposte dall'imputato circa la non abitualità della condotta, ancorché correlate alle ragioni del diniego opposto dalla Corte di appello».

In definitiva, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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