18 luglio 2019

Valore di produzione ai fini Irap e utili da associazione in partecipazione

Autore: Giovambattista Palumbo
Nella determinazione della base imponibile Irap non sono ammessi in deduzione gli utili spettanti agli associati in partecipazione. E quindi tutti gli utili spettanti all'associato, quando il suo apporto è costituito esclusivamente dalla prestazione di lavoro, sono indeducibili ai fini dell'IRAP dell'associante. La circostanza che l'indeducibilità sia riferita esclusivamente agli utili spettanti agli associati in partecipazione e non menzioni anche forme di remunerazione diverse, costituisce una conseguenza della struttura della fattispecie legale astratta del contratto, laddove la partecipazione agli utili, unica forma di remunerazione dell'associato espressamente prevista dal legislatore, costituisce uno degli elementi caratterizzanti l'associazione in partecipazione. La natura essenziale della partecipazione agli utili non è però incompatibile con la previsione della contemporanea corresponsione all'associato anche di una quota fissa. E quindi la previsione negoziale di corresponsione, oltre che della partecipazione agli utili, anche di una quota fissa, non esclude la ricorrenza della causa del contratto e la relativa somma soggiace comunque alla sopradetta indeducibilità.

Il caso
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 16265 del 18/06/2019, ha chiarito alcuni interessanti profili in tema di Irap e associazione in partecipazione.

Nel caso di specie, l'Agenzia delle Entrate aveva notificato ad una società un avviso di accertamento, con il quale, all'esito di verifica fiscale, erano stati contestati diversi rilievi fiscali, con conseguente recupero di maggiori imposte dovute (Irpeg, Irap, Iva e ritenute alla fonte), oltre interessi e sanzioni.

La società contribuente aveva impugnato l'avviso di accertamento dinnanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Pesaro, che aveva parzialmente accolto il ricorso, limitatamente a cinque dei sedici rilievi oggetto dell'accertamento.

L'Ufficio aveva quindi proposto appello alla Commissione Tributaria Regionale delle Marche, che lo aveva accolto solo parzialmente.
E, infine, l’Amministrazione, per quanto di interesse, aveva proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione dell'art. 11 del D.lgs. del 15 dicembre 1997, n. 446 e dell'art. 2549 c.c., per avere la CTR ritenuto che fossero deducibili, ai fini IRAP, i compensi pagati dalla società contribuente ai propri associati in partecipazione e calcolati in misura fissa, e non in percentuale rispetto alle vendite realizzate dalla medesima società di capitali.

La decisione
Secondo la Suprema Corte, la censura era fondata.
Evidenziano infatti i giudici di legittimità che l'art. 11, comma 1, lett. b), num. 5, del D.lgs. n. 446 del 1997, sotto la rubrica «Disposizioni comuni per la determinazione del valore della produzione netta», prevede che: «1. Nella determinazione della base imponibile: [...] b) non sono ammessi in deduzione: [...] 5) gli utili spettanti agli associati in partecipazione di cui alla lettera c) del predetto articolo 49, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi».

E, a sua volta, l'art. 49, comma 2, lettera c), del Dpr. del 22 dicembre 1986, n. 917, vigente ratione temporis, menziona «le partecipazioni agli utili di cui alla lett. f) del comma 1 dell'art. 41 quando l'apporto è costituito esclusivamente dalla prestazione di lavoro».

E, infine, rileva ancora la Corte, la lett. f) del comma 1 dell'art. 41 del Dpr. n. 917 del 1986 si riferisce agli «utili derivanti da associazioni in partecipazione e dai contratti indicati nel primo comma dell'articolo 2554 del codice civile, salvo il disposto della lettera c) del comma 2 dell'articolo 49».

Pertanto, conclude la Cassazione, al fine di determinare il valore della produzione, quale base imponibile dell'IRAP, il citato art.11, comma 1, lett. b), num. 5, del D.lgs. n. 446 del 1997, attraverso il combinato normativo sopra individuato, dispone che tutti gli utili spettanti all'associato in partecipazione, quando il suo apporto è costituito esclusivamente dalla prestazione di lavoro, sono indeducibili ai fini dell'IRAP dell'associante.

La circostanza che, nella lettera della disposizione, l'indeducibilità sia riferita esclusivamente agli «utili» spettanti agli associati in partecipazione, e non menzioni anche forme di remunerazione diverse, costituisce peraltro, sottolineano i giudici, una necessaria conseguenza della struttura della fattispecie legale astratta del contratto di associazione in partecipazione descritta dall'art. 2549 c.c. (nella versione applicabile ratione temporis), secondo il quale «l'associante attribuisce all'associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto».

La partecipazione agli utili, unica forma di remunerazione dell'associato espressamente prevista dal legislatore, costituisce dunque uno degli elementi caratterizzanti l'associazione in partecipazione, infatti valorizzato dalla giurisprudenza, unitamente alle altre concrete modalità di svolgimento del rapporto, per verificare l'effettiva sussistenza della fattispecie associativa, piuttosto che la ricorrenza sostanziale di un rapporto di subordinazione, caratterizzato dal pagamento di retribuzione a cadenze fisse (cfr., Cass., 24/02/2011, n. 4524).

La natura essenziale della partecipazione agli utili è stata peraltro ritenuta dalla giurisprudenza (Cass., 24/11/2000, n. 15175; Cass., 18/04/2007, n. 9264) non necessariamente incompatibile con la previsione della contemporanea corresponsione all'associato anche di una quota fissa, di entità non compensativa della prestazione lavorativa e comunque non adeguata rispetto ai parametri di cui all'art. 36 della Costituzione, priva di ogni riscontro con gli utili effettivamente conseguiti, erogata a titolo di rimborso spese e comunque correlata alla natura dell'apporto.

E quindi, la mera previsione negoziale di corresponsione all'associato, oltre che della partecipazione agli utili, anche di una quota fissa, non esclude di per sé la sola ricorrenza della causa del contratto di cui all'art. 2549 c.c., nel quale, come detto, trova titolo anche la prestazione dell'emolumento fisso versato allo stesso associato.

Conclusioni
Non poteva pertanto condividersi, pena un’inammissibile aggiramento della volontà del Legislatore, la conclusione della Commissione Tributaria Regionale, secondo la quale la mera previsione di un importo fisso pagato dall'associante all'associato collocava, ai fini fiscali, la relativa somma al di fuori della portata dell'art. 11, comma 1, lett. b), num. 5, del Dlgs. n. 446 del 1997.
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