24 settembre 2018

ZES e altri strumenti per il rilancio del territorio

Autore: Giovambattista Palumbo
La realizzazione di zone economiche speciali è senz’altro una ricetta vincente al fine del rilancio di un territorio. La leva fiscale, in generale, può comunque assumere un ruolo fondamentale, mediante l’eliminazione dei dazi, misure come la sospensione e il taglio dell’Iva, la riduzione o l’azzeramento delle imposte sui redditi. Anche nell’utilizzo di tali strumenti bisogna però sempre fare i conti con il divieto comunitario di concedere aiuti di Stato alle imprese.

Tra le misure agevolative fiscali in grado di rilanciare territori e realtà imprenditoriali, vi sono vari strumenti, che, però, devono spesso fare i conti con le restrizioni e vincoli della disciplina comunitaria.

Il “decreto Sud” (Dl n. 91/17), tra le varie novità, prevedeva del resto anche l’istituzione di Zes (Zone Economiche Speciali) e l’ampliamento del credito d’imposta introdotto dalla legge di stabilità 2016, nonché la proroga per l’iperammortamento.

Quanto alle modalità di creazione delle Zes al Sud i criteri principali previsti sono i seguenti:
  • devono essere costituite da territori geograficamente delimitati, anche non confinanti, ma con nesso economico funzionale, che comprendano almeno un’area portuale;
  • un Dpcm stabilirà le modalità generali per l’istituzione di una Zes, la sua durata, i criteri che ne disciplinano l’accesso e le condizioni speciali;
  • possono proporre l’istituzione di una Zes le regioni meno sviluppate, prospettando un piano di sviluppo strategico.

Per catalizzare l’interesse dei grandi gruppi internazionali, la realizzazione di zone economiche speciali è senz’altro una ricetta vincente.
Le ZES, infatti, stimolano e producono sviluppo economico e sociale nei territori che le ospitano.

A tal fine la leva fiscale assume dunque un ruolo fondamentale, mediante, per esempio, l’eliminazione dei dazi, misure come la sospensione e il taglio dell’Iva, la riduzione o l’azzeramento delle imposte sui redditi.

Anche l’istituzione di ZES, tuttavia, deve fare i conti con il divieto comunitario di concedere aiuti di Stato alle imprese (art. 107 TFUE).
In seguito alla comunicazione sulla modernizzazione degli aiuti di Stato, la Commissione Europea riterrà comunque oggi una misura di aiuto compatibile l’intervento destinato ad agire in una situazione in cui può determinare un miglioramento tangibile, che il mercato da solo non è in grado di fornire e in grado di modificare il comportamento delle imprese interessate, spingendole ad intraprendere attività supplementari, che non avrebbero svolto senza l’aiuto.

L’idea di creare delle “no tax area” ha peraltro fondamento giuridico nel diritto comunitario.

E, a tal fine, le Zes non sono nemmeno l’unico strumento possibile.

La zona franca è per esempio una frazione del territorio doganale dell’Unione europea, opportunamente delimitata e sottratta all’ordinario regime doganale, il cui scopo è il conseguimento di una fiscalità di vantaggio.

Quando la zona franca è collocata in area portuale si parla di porto franco, di zona franca portuale (o punto franco) o di deposito franco.

Vi sono poi le cosiddette ZFU (Zone franche Urbane), molto diffuse, per esempio, in Francia, che consentono agevolazioni fiscali e contributive per le PMI localizzate in quartieri con più di 8.500 abitanti, caratterizzati da situazioni di particolare degrado socio-economico.

Non vi sono in questi casi conflitti con la normativa sugli aiuti di Stato, trattandosi di aiuti in regime de minimis (il de minimis individua gli aiuti di piccola entità che possono essere concessi alle imprese senza violare le norme sulla concorrenza. L’importo totale massimo degli aiuti di questo tipo ottenuti da una impresa non può superare, nell’arco di tre anni, i 200.000 euro).

ZES, Zone franche etc., hanno, in definitiva, l’obiettivo di creare un contesto favorevole per attrarre investimenti produttivi dall’estero.
Si contano circa 2.700 Zes in giro per il mondo.

E nei Paesi dell’Unione Europea ce ne sono circa settanta già operative.

Vero è che la creazione di queste aree speciali è sottoposta ad un rigido meccanismo comunitario che tende ad accertare che gli incentivi previsti dalla Free Zone non siano assimilabili ad aiuti di Stato e ci siano veramente quelle condizioni necessarie per poter richiedere la nascita della Zes e cioè che quel territorio o zona sia in una condizione di forte disagio economico ed occupazionale.

Nell’Unione europea un esempio di eccellenza può essere considerata (guarda caso) l’Irlanda, tanto è vero che nel 2012 una delegazione cinese ha scelto soltanto l’Irlanda come unica tappa nell’area comunitaria proprio per visitare la prima ‘zona franca industriale di esportazione’ realizzata al mondo, ossia la Shannon Free Trade Zone, istituita già nel 1959.

A riprova dell’importanza dello strumento, del resto, il 16 dicembre 2013, peraltro, è stata presentata un’interrogazione al Parlamento europeo avente ad oggetto l’istituzione di ZES per il trasbordo marittimo e la Commissione UE, in risposta, ha affermato che gli Stati membri, conformandosi alla disciplina sugli aiuti di Stato, sono liberi di istituire e modificare ZES.

La giurisprudenza comunitaria ha poi delineato alcuni chiari criteri per la previsione di agevolazioni “territorialmente localizzate”.

Il leading case è quello delle Isole Azzorre, risolto dalla Corte di Giustizia con sentenza 6 settembre 2006 (C-88/03).

La Corte ha accolto in quel caso le ragioni della Commissione, escludendo comunque che la selettività possa dedursi dal solo fatto che le altre Regioni siano soggette ad un livello impositivo differente, dovendosi invece accertare se l’entità infrastatale “sia dotata di uno statuto di fatto e di diritto che la renda sufficientemente autonoma rispetto al Governo centrale di uno Stato membro, affinché, grazie alle misure adottate, sia la detta entità, e non il Governo centrale, a rivestire un ruolo fondamentale nella definizione dell’ambiente politico ed economico in cui operano le imprese” (punto 58).

Non si può dunque dedurre che una misura sia selettiva ai sensi dell’art. 87, n. 1, Trattato CE dal “solo fatto che si applica esclusivamente ad una zona geografica limitata del territorio di uno Stato membro”.

L’ipotesi, forse percorribile anche in Italia, potrebbe dunque essere quella in cui un ente territoriale, nell’esercizio di poteri sufficientemente autonomi rispetto al potere centrale, stabilisca un’aliquota fiscale inferiore a quella nazionale (per esempio in tema di Irap?) ed applicabile unicamente alle imprese situate all’interno del territorio di propria competenza (cosiddetto “federalismo asimmetrico”).

Nell’ambito del rispetto di questi limiti, comunque, l’uso di questi strumenti può essere sempre valutato nella sua effettiva realizzabilità, avviando magari (come già fatto per la realizzazione di ZES, comprendenti anche l’area portuale e retroportuale dei porti di Napoli e Salerno), uno specifico percorso presso la Commissione Europea.
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