venerdì, 06 giugno 2025

9 maggio 2020

Domicilio, abitazione, residenza: gli spostamenti consentiti

Autore: Redazione Fiscal Focus
Dal 4 maggio scorso sono entrate in vigore le nuove regole dettate dal D.P.C.M. 26 aprile 2020, che ha, tra l’altro, allentato gli stringenti divieti di spostamento che avevano caratterizzato la prima fase dell’emergenza Covid 19.

L’art. 1 del nuovo decreto ha difatti ribadito che “sono consentiti solo gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute” aggiungendo tuttavia tra gli spostamenti necessari quelli “per incontrare congiunti purché venga rispettato il divieto di assembramento e il distanziamento interpersonale di almeno un metro e vengano utilizzate protezioni delle vie respiratorie”.

Ha inoltre consentito gli spostamenti all'interno della Regione e, eccezionalmente, anche verso una Regione diversa da quella in cui ci si trova, ma esclusivamente per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute; infine ha precisato che “è in ogni caso consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza”.

L’articolo in questione si è posto subito al centro dell’attenzione sia per i dubbi che ha sollevato circa l’interpretazione del termine “congiunti” sia per la specifica che a non potersi spostare fuori regione siano le “persone fisiche”, come se esistessero categorie di persone “non fisiche” o “giuridiche” cui invece gli spostamenti siano consentiti!

Ma anche in ordine ai tre termini “domicilio, abitazione e residenza” non è apparso immediatamente chiaro quali siano i caratteri che li contraddistinguono, al fine di poter valutare dove sia possibile recarsi o meno.

A chiarire le nozioni di “residenza” e “domicilio” soccorre anzitutto il codice civile che espressamente le definisce all’art. 43: “Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi. La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”.

Si tratta dunque di concetti accomunati dal carattere dell’abitualità e della stabilità, sebbene sia solo la residenza a poter essere facilmente dimostrabile attraverso le risultanze dei Registri Anagrafici o i documenti d’identità; un controllo incrociato con tali dati è dunque sufficiente a dimostrare la veridicità di quanto sia stato eventualmente autocertificato.

Meno semplice è invece la dimostrazione del domicilio, in assenza di specifici strumenti che ne consentano il controllo.

Da un punto di vista sostanziale, può peraltro osservarsi che, mentre la residenza risponde ad una condizione indubbiamente oggettiva, il domicilio tende invece ad assumere una connotazione di carattere “misto”, formata sia da una componente soggettiva (l'intenzione della persona di fissare in un certo luogo la sede principale dei propri affari ed interessi) che da una oggettiva (in relazione alla natura - economica, sociale, morale, familiare – degli affari ed interessi che si svolgono nel domicilio).

Va da se’ che il domicilio può coincidere o meno con la residenza, così com’è pure possibile che, accanto al domicilio “ordinario” si collochi un domicilio “speciale” riferibile solo a determinati atti o affari (è il caso, per esempio, dell’elezione di domicilio che si fa presso lo studio del legale cui sia affidata una causa o quello indicato a fini contrattualistici).

In ogni caso, comunque, a differenza della residenza, il domicilio non è certificabile e, perciò, ad attestarlo basta la dichiarazione sostitutiva d’atto notorio resa ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. n. 445/2000, dunque sotto la propria responsabilità penale per il caso di dichiarazioni mendaci.

Non vi è invece alcuna definizione codicistica dell’abitazione, sebbene, dal tenore di altre previsioni normative, emerga che anche tale nozione sia legata ad un requisito di abitualità alla stessa stregua della residenza e della dimora. Nel T.U. delle Imposte sui Redditi (DPR n. 917/1986), per esempio, è identificata come “abitazione principale” quella di dimora abituale del contribuente (dato peraltro in concreto dimostrabile anche attraverso i consumi risultanti dalle utenze domestiche).

Balza a questo punto all’attenzione che il DPCM del 26 aprile non ha fatto alcun riferimento esplicito alla “dimora”, concetto che – a differenza di quelli sin qui esaminati - deve ritenersi non connotato da caratteri di stabilità. Difatti, se il legislatore, all’art. 43 c.c., nel definire la residenza ha ritenuto di dover precisare che indichi il luogo in cui il soggetto ha la sua dimora “abituale”, ha implicitamente inteso riconoscere un carattere di temporaneità alla dimora in se e per sé considerata.

Ciò induce dunque a ritenere che il mancato riferimento del DPCM alla dimora risponda ad una scelta ben precisa: quella di impedire gli spostamenti verso luoghi dove non vi sia una permanenza abituale della persona, tanto meno giustificata da interessi o affari. In altre parole, si è inteso escludere ogni spostamento verso seconde case o case di vacanza.

A scanso di equivoci ed in attesa di eventuali diversi chiarimenti, i week end nella casa al mare o in montagna al momento sono dunque da dimenticare.
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