lunedì, 05 maggio 2025

6 giugno 2020

Immuni al via

Autore: Redazione Fiscal Focus
Dallo scorso lunedì, chi lo desidera può scaricare sul proprio smartphone “Immuni”, la tanto discussa app promossa dal ministero della Salute e realizzata dalla società milanese Bending Spoons per aiutare il contenimento dell’epidemia da coronavirus attraverso il contact tracing.

La predisposizione all’installazione dell’app già nelle scorse settimane era stata fornita in automatico effettuando l’aggiornamento dei sistemi operativi dei cellulari all’ultima versione disponibile. L’ aggiornamento è difatti operazione propedeutica all’utilizzo di Immuni: per i dispositivi Apple occorre disporre della versione 13.5; per i dispositivi Android servono invece la versione 6 (Marshmallow, API 23) o superiore e occorre inoltre verificare che il telefono supporti la Bluetooth Low Energy e che Google Play Services sia aggiornato alla versione 20.18.13 o superiore. Ne consegue che, sui telefoni che non supportano tali aggiornamenti, Immuni non funziona: si tratta, per quanto riguarda gli iPhone, dei modelli 6, 5s e 5; per quanto riguarda Android, dei modelli i Samsung Galaxy S4 ed S3, o l’LG G2; Per i telefoni del marchio cinese Huawei la situazione è invece un po’ particolare: a seguito del divieto di utilizzo del sistema operativo Android che gli Usa hanno imposto a partire dal 16 maggio 2019 sui telefoni di quel marchio, solo i modelli prodotti antecedentemente a tale data (P30, il P20, il mate 20) sono in grado di supportare Immuni perché funzionano ancora col sistema operativo Android, al contrario dei modelli più recenti (P40, il Mate 30 e il Mate Xs).

L’app si scarica gratuitamente dagli store digitali di Apple (App Store) e Android (Google Play Store); ogni altra modalità è perciò da ritenersi fraudolenta: non è previsto alcun invio di e-mail o sms e non esistono link veicolati per eseguire il download.

In poco meno di una settimana Immuni è già stata scaricata da oltre un milione di utenti (500 mila nelle prime 24 ore), nonostante per la sua prima fase di sperimentazione sarà operativa, a partire da lunedì 8 giugno, soltanto in quattro regioni: Abruzzo, Liguria, Marche e Puglia.

Sembra, dunque, che buona parte degli italiani ne abbia accettato l’uso e compreso l’utilità, bandendo gli iniziali dubbi circa il potenziale pericolo di tracciabilità dai più immaginato come un’inammissibile interferenza nella privacy.

Sia nelle schermate introduttive che precedono l’installazione dell’app che nelle risposte alle faq presenti sul sito web ad essa dedicato (www.immuni.italia.it) sono del resto fornite chiare rassicurazioni circa l’attenzione posta alla tutela dei dati personali ed alla non rilevabilità della localizzazione degli utenti.

Viene infatti precisato che la tecnologia utilizzata dall’app – la Bluetooth Low Energy – non raccoglie nome e dati personali degli utenti e pertanto non consente di risalire alla loro identità né ad altre informazioni riguardanti la loro posizione e i loro spostamenti. Le uniche informazioni richieste dall’app al momento dell’installazione riguardano soltanto l’indicazione della regione e la provincia dove si vive.

L’app chiede poi di attivare il sistema di notifiche di esposizione bluetooth: l’attivazione del bluetooth è peraltro condizione necessaria perché l’app funzioni. Una volta installata, Immuni fa sì che lo smartphone generi diverse volte, nell’arco delle ore, dei codici casuali che sono quelli che vengono scambiati tramite bluetooth quando si viene a contatto con altri soggetti che abbiano a loro volta attivato l’app, consentendo anche di registrare la durata di tale contatto.

Quindi, qualora un utente risulti positivo al Covid, potrà (tramite l’aiuto di un operatore sanitario) caricare sul server di Immuni una chiave crittografica che gli consentirà di risalire ai propri codici casuali generati giorno dopo giorno ed i contatti registrati con i codici di altri utenti, ai quali verranno inviati degli “alert” di potenziale contagio.

Sul sito web dell’app si legge pure, ad ulteriore conferma dell’estremo anonimato del suo funzionamento, che: i dati salvati sullo smartphone, così come le connessioni tra l'app e il server, sono cifrati; tutti i dati, siano essi salvati sul dispositivo o sul server, saranno cancellati non appena non saranno più necessari e in ogni caso non oltre il 31 dicembre 2020; il Ministero della Salute è il soggetto che raccoglie i dati, che vengono impiegati solo per contenere l'epidemia del Covid 19 o per la ricerca scientifica e che sono salvati su server in Italia e gestiti da soggetti pubblici.

La controindicazione attualmente rilevabile – che tuttavia non riguarda il funzionamento dell’app ma le conseguenze delle notifiche di potenziale contagio – è che, ove chi riceve la notifica non possa eseguire in tempi brevi un tampone per verificare d’aver contratto l’infezione, avrà frattanto l’obbligo dell’autoisolamento pur senza avere certezza d’essere stato infettato.

Oltre che a questioni di privacy, i potenziali utenti dell’app sembrano anche interessati ad aspetti pratici: tra le faq del sito di Immuni figura infatti il quesito se l’uso dell’app scarichi più velocemente la batteria dello smartphone. In linea di massima non dovrebbe accadere, poiché la tecnologia Bluetooth Low Energy impiegata è stata concepita per essere particolarmente efficiente in termini di risparmio energetico.

Se Immuni avrà o meno successo si vedrà nei prossimi mesi, sebbene sia certo sin d’ora che permarrà una nutrita percentuale di reticenti che, sulla scia di ipotesi complottiste, ne rifiuterà l’utilizzo e lo condannerà. Non si tratterà, peraltro, dell’unica forma di critica: sotto attacco non saranno solo la funzionalità e i presunti scopi reconditi dell’app ma, presumibilmente, anche aspetti meno tecnici o ideologici: lo dimostra la polemica immediatamente innescatasi all’indomani della sua attivazione con riguardo all’utilizzo di alcune immagini impiegate nella sua grafica. Nell’edizione “originale” dell’app figurava infatti, tra le figure descrittive dei suoi destinatari, l’abbinamento tra un uomo intento a lavorare al computer ed una donna con in braccio un bambino: il disegno è stato prontamente additato come espressione di una visione sessista dei ruoli, innescando una fitta polemica che ha determinato la tempestiva inversione delle immagini, a vantaggio di un – almeno formale – pareggio dei compiti: ora è rappresentata la donna intenta al lavoro sul pc e l’uomo col bimbo in braccio!
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

Non ci sono risultati.

Suggerimenti:
– verificate di aver digitato correttamente le parole nel campo di ricerca testuale;
– aggiungete parole più specifiche o sinonimi nel campo di ricerca testuale;
– provate a ridurre i parametri di ricerca.

Per inserire i vostri commenti dovete registrarvi.