sabato, 24 maggio 2025

11 luglio 2020

La formula magica del “salvo intese”

“Il Consiglio dei Ministri è terminato alle 4.10 di martedì 7 luglio 2020”.

Autore: Ester Annetta
È la frase suggestiva che si legge in fondo al comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 54 del 7 luglio 2020, quello – per intenderci – relativo alla riunione che ha approvato l’attesissimo “D.L. Semplificazioni”.

Ce li immaginiamo i nostri Ministri che, stanchi ma non paghi dopo una giornata di duro lavoro e devoti alla causa dei loro ministeri, al calar della sera si rintanano a Palazzo Chigi e, col favore delle tenebre e della tregua concessa dalla notte alle alte temperature diurne, dibattono fino all’alba per partorire uno dei provvedimenti che, tra gli altri, dovrà contribuire al rilancio del Paese dopo la dura prova del Covid-19.

Peccato che quelle sei ore di passione, in aggiunta ad una precedente intera settimana di trattative, non siano bastate ad arrivare ad un risultato certo e compiuto: il Decreto Semplificazioni viene approvato, si, ma 'salvo intese'.

Si legge così nell’incipit del comunicato stampa: “Il testo costituisce un intervento organico volto alla semplificazione dei procedimenti amministrativi, all’eliminazione e alla velocizzazione di adempimenti burocratici, alla digitalizzazione della pubblica amministrazione, al sostegno all’economia verde e all’attività di impresa.
Il decreto interviene, in particolare, in quattro ambiti principali:
  • semplificazioni in materia di contratti pubblici ed edilizia
  • semplificazioni procedimentali e responsabilità
  • misure di semplificazione per il sostegno e la diffusione dell’amministrazione digitale
  • semplificazioni in materia di attività di impresa, ambiente e green economy.

Gli interventi deliberati all’interno di ciascuno dei detti ambiti vengono poi esplicitati, ma restano alcuni vuoti, come l’elenco delle grandi opere da sbloccare – una cinquantina in tutto – che dovranno essere affidate a dei commissari nominati con Dpcm ad hoc da qui a fine anno e che intanto non compaiono nel testo del decreto ma in un allegato al PNR (il Programma nazionale di riforma), così da essere rivedibile; analogamente accade per la riforma dell’abuso d’ufficio, per la quale si renderà necessaria una riformulazione del testo.

Da ciò, dunque, quel “salvo intese” che – pur con la fornita precisazione che le eventuali nuove intese riguarderanno esclusivamente aspetti "tecnici, non politici" – dona quella vaghezza che concede dimora al ripensamento.

Due magiche parole, la formula adottata quando manca un testo definitivo degli articolati, che potranno perciò essere riveduti e corretti prima della pubblicazione in Gazzetta ufficiale.

È un sistema che è diventato sempre più ricorrente negli ultimi anni, senza etichettare nello specifico alcun colore di governo poiché pressoché tutti vi hanno fatto ricorso. L’ultima volta è capitato a ottobre scorso, quando si è trattato di approvare la legge di bilancio e il decreto fiscale permettendo di rispettare la scadenza dell’invio a Bruxelles del Documento programmatico di bilancio (entro la mezzanotte del 15 ottobre).

Il punto è che quella misteriosa formula troppo finisce per concedere alla rivedibilità, rischiando di lasciar spazio al difetto di trasparenza e di coerenza, dando anche la sensazione di una indecisione e di una incompiutezza che, mai con in questo momento, di certo non giovano ad un Paese che ha bisogno di punti fermi.

“Salvo intese” è il tocco burocratese che veste le scelte di un abito confezionato a metà tra prudenza e convenienza, che lascia scuciti angoli e pieghe attraverso cui le varianti possono sempre insinuarsi, al pari di quanto è concesso, a monte, in ogni ambito decisionale, all’altrettanto vaga formula “Varie ed eventuali”.

Ricorrere a tali espressioni è – al di là di ogni valutazione nel merito dei contenuti – un affronto, una mancanza di rispetto, quasi, nei confronti dei cittadini, che si aspetterebbero - e, soprattutto, ne hanno bisogno - compiutezza, certezza e trasparenza dalle istituzioni che li rappresentano. E, queste ultime, a loro volta, dopo settimane di confronti e nottate di discussione, dovrebbero essere in grado di rivestire di definitività argomenti ampiamente approfonditi, senza riserve e senza revisioni, nemmeno di ”natura tecnica e non politica”.

In questa particolare contingenza non è conveniente dare potere all’emergenzialità, appellandosi ad essa anche per giustificare guasti, ritardi, indecisioni, carenze. Tutt’altro: è anzi con la risolutezza e la chiarezza che si devono affrontare le scelte, per ambire a raggiungere una nuova stabilità ed impedire che l’emergenza rischi di diventare un alibi permanente.

Rischio che, francamente, mai come ora, non possiamo permetterci di correre.
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