martedì, 20 maggio 2025

10 aprile 2021

Molestie di strada

Autore: Ester Annetta
Che i social siano ormai diventati un potentissimo strumento non solo di comunicazione ma anche di diffusione delle notizie - finendo spesso per sostituirsi a quelli canonicamente deputati a tale scopo - è ormai un dato di fatto, cui, peraltro, è frequentemente connesso – come si è già avuto modo di osservare (cfr. L’Informazione e la “vox populi”) il rischio del difetto di correttezza e veridicità dell’informazione.

Allo stesso modo, diventano spesso mezzi attraverso i quali si accendono dibattiti che, dalle pagine più o meno private dei singoli profili, finiscono per rimbalzare su quelle pubbliche dei quotidiani.

È il caso di quanto accaduto, nei giorni scorsi, a proposito del “catcalling”, dacché dal profilo Instagram di Aurora Ramazzotti (non a caso titolata con l’attributo di “influencer”) è partita l’invettiva contro gli apprezzamenti che spesso le donne ricevono per strada, da parte di uomini, per via del loro aspetto o dei loro atteggiamenti.

Confesso che quel termine – come i tanti inglesismi che (con una punta di biasimo espressa persino dal nostro Presidente del Consiglio) la nostra lingua continua a mutuare – mi è giunto del tutto nuovo ed ha catturato la mia attenzione non perché abbia seguito l’onda delle polemiche sortite dal video postato dalla succitata Influencer ma perché si è posto come una sorta di continuum con una conversazione che, un paio di giorni prima, avevo captato tra mio figlio ed un paio di suoi amici.

Sasi e Antonio sono due diciannovenni campani; la loro amicizia con mio figlio è nata sui ciottoli d’una spiaggia del Cilento quand’erano piccolissimi e, dal carattere intermittente che ha avuto per tutta la durata della loro infanzia, si è trasformata, in adolescenza, in un rapporto solido e duraturo, presente ben oltre il tempo della stagione estiva. L’avvicendarsi dei cambi di colori delle Regioni aveva loro impedito di potersi rivedere dopo le ultime vacanze d’agosto ed hanno perciò approfittato della breve tregua arancione pre-pasquale per concedersi una parentesi romana di qualche giorno, ospiti in casa mia. È dunque capitato che, durante un pranzo, mentre conversavano goliardicamente dei loro gusti in fatto di ragazze, il discorso si sia ad un certo punto focalizzato su un confronto che raccontavano di aver avuto con una comune amica a proposito dei “complimenti” che aveva ricevuto, mentre attraversava la strada, da alcuni ragazzi a bordo d’un’auto.

Antonio, il più spigliato, osservava che non è vero che siano solo le ragazze ad essere destinatarie di apprezzamenti ma che spesso capita anche a loro “maschietti” d’essere oggetto di complimenti o di ricevere baci volanti lanciati dalle stesse (in specie se sono in gruppo); e chiosava dicendo: “le ragazze si lamentano d’essere vittime di “catcalling” solo se il ragazzo da cui proviene l’apprezzamento è brutto; se invece è un bel ragazzo, se ne vantano con le amiche!”

Dall’angolo da cui li ascoltavo, fingendo distrazione, mi è venuto da sorridere, pensando a quanto quell’affermazione fosse vera, a come, da sempre, funzioni davvero così. A quante donne è capitato d’essere destinatarie d’un fischio, d’un complimento o d’una frase d’apprezzamento da parte d’uno sconosciuto, passando per strada? E non è forse vero che, anche se hanno accelerato il passo o hanno finto di non sentire, quel gesto, quella frase, sono stati intimamente lusinghieri ed hanno strappato un sorriso compiaciuto?

Come è sempre necessario, allora, le questioni andrebbero ridimensionate, colte nella loro reale portata per evitare – come invece ormai sempre più accade – che venga ad esse attribuito un peso eccessivo, a volerle quasi ad ogni costo osservare attraverso la lente della moralità.

Il punto è che la tendenza dominante va sempre più nella direzione dello stigma: l’atteggiamento ormai ricorrente è quello di trasformare ogni azione ed ogni comportamento in pretesto per una condanna. Ipocritamente, aggiungerei, spinti, più che dalla reale convinzione dell’utilità della crociata proposta, dalla sete di plauso e di consenso da catturare tra seguaci più o meno fittizi, cui dare in pasto un tema su cui azzannarsi è diventato oggi più lusinghiero di quel complimento maldestro che un tempo faceva sorridere e che i costumi e la cultura d’allora non avrebbero mai considerato alla stregua d’una molestia.

Sia ben chiaro, con ciò non vuole intendersi che vadano indiscriminatamente giustificati e condonati tutti i comportamenti: si cominci, intanto, col chiamare quelli pesanti e ostentatamente offensivi e violenti col nome che meritano: catcalling è un termine poco incisivo se ambisce ad etichettare un comportamento riprovevole. L’Accademia della Crusca ne ha ripreso l’etimologia, spiegando che il termine è “attestato fin dagli anni ’80 del Settecento con il significato di ‘grido, lamento, suono simile a un lamento’, e ‘lamentoso’. Catcalling si forma dal verbo (to) catcall, documentato insieme al nome corrispondente catcall già a partire dalla seconda metà del Settecento per indicare rispettivamente l’atto di fischiare a teatro gli artisti sgraditi e il fischio di disapprovazione stesso. Il sostantivo catcall, nel significato originario di ‘verso che i gatti fanno di notte’, è attestato dalla seconda metà del Seicento.”

Sempre la Crusca, indicando l’anno 2020 come “periodo di affermazione” del termine, ne ridefinisce le attuali connotazioni come segue: “La parola catcalling nomina una serie di atti (complimenti non richiesti, commenti volgari indirizzati al corpo della vittima o al suo atteggiamento, fischi e strombazzate dall’auto, domande invadenti, offese e perfino insulti veri e propri) che, in quanto ritenuti espressione di una mentalità sessista e svalutante, costituiscono un tipo specifico di molestia sessuale e di molestia di strada”

Ma varrebbe allora meglio definire questo tipo di condotta soltanto (e non, viceversa, il semplice complimento maldestro di cui si diceva poc’anzi) col nome che meglio le si addice: molestia di strada, calcandone la rozzezza, la volgarità ed il carattere violento e discriminante ove si tratti di atteggiamenti che abbiano un tale deliberato intento offensivo/ingiurioso, e senza tuttavia dover arrivare all’estremo – pure da alcuni caldeggiato – di eleggerlo addirittura a reato.

Est modus in rebus, diceva Orazio.

Per il resto, sarebbe bene non rispondere alle fomentazioni dell’allibratore-social di turno, votato alla raccolta delle scommesse della riuscita della provocazione lanciata. Il rischio – ahinoi, sempre più ricorrente – è altrimenti quello di perdere di vista temi ed argomenti che meriterebbero davvero discussioni di sostanza: sarebbe senz’altro proficuo, per esempio, battersi per una più concreta ed effettiva attuazione del Codice Rosso, perché di femminicidio, purtroppo, si muore davvero; di apprezzamenti non è ancora mai morta nessuna.
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