domenica, 01 giugno 2025

14 dicembre 2019

Quando il clamore fa la differenza

Autore: Ester Annetta
C’è una notizia che – un po’ per ludibrio, un po’ per curiosità, un po’ anche per accorato sostegno da parte di raffinati intenditori – da qualche giorno rimbalza tra le pagine dei quotidiani e del web, tanto da essere divenuta argomento di conversazione e di intenso confronto quasi alla stessa stregua della manovra finanziaria.
Si tratta di “Comedian”, la nuova, originale opera dell’artista padovano Maurizio Cattelan: la banana attaccata a un muro con una striscia di nastro adesivo (di quello largo, di colore grigio-argento) presentata all’Art Basel Miami Beach, che un facoltoso (e stravagante) collezionista privato si è aggiudicato all’asta per 120mila dollari.

Diverse sono state le interpretazioni date all’originale installazione dell’artista che, peraltro, non è nuovo a trovate ingegnose ed irriverenti: la banana può essere un simbolo del commercio globale e, dunque, una provocazione; può essere espressione di un doppio senso, ricorrente anche nel linguaggio quotidiano; può essere anche il classico dispositivo per l’umorismo, tant’è che il titolo “Comedian” ne è evocazione, come a dire che la banana è un mezzo che seguita a tener sollevato il sipario…
Com’è che sia, la verità è che – mettendo da parte ogni ipocrisia ed ogni cedimento alla compiacenza – il valore dell’opera non risiede di certo in se stessa (non nella qualità della banana, né nel tipo di nastro adesivo, né nei criteri di altezza o distanza che sono stati tenuti in conto per appiccicarla al muro) ma unicamente nella notorietà del suo autore e nel clamore che solitamente accompagna ogni sua nuova performance.
Chiunque – anche in condizioni di non perfetta lucidità (anzi, forse pure meglio in quel caso) - è capace di attaccare una banana al muro; ma è evidente che ciò non è condizione sufficiente a trasformarlo in artista. Il percorso è, invece, contrario: è la fama dell’artista, il percorso che ha compiuto, che trasforma in opera d’arte qualunque cosa faccia o tocchi, come fosse un re Mida. E nemmeno importa scavare a fondo per tentare di capire se alla base dell’opera ci sia una reale intenzione o, semplicemente, l’artista in un momento di noia, di fiacca o di scarso entusiasmo, semplicemente abbia compiuto un gesto sbrigativo ed indifferente, lasciando che fosse il pubblico ad affannarsi nel volergli attribuire ad ogni costo un significato, un po’ come accade nella fiaba de’ “I vestiti nuovi dell’imperatore”.

Non è tuttavia ad una critica sull’opera e sul valore dell’artista in questione che si vuole ora disquisire; piuttosto, su alcuni piccoli dettagli di questa storia (quelli, non a caso, sottolineati) che attraggono l’attenzione, inducendo a fare una semplice (forse ingenua?) considerazione - un confronto, anzi - tra condizioni e situazioni che, pur non avendo la forza di suscitare altrettanto clamore, hanno una valenza umana e solidale che potrebbe invece ben giustificarne la pretesa.

C’è un altro padovano che in quanto a fama non può di certo competere con il suo illustre concittadino Cattelan ma che, tuttavia, è autore di un’opera meravigliosa e dal valore inestimabile. Si chiama Alessio Gobbis, ha 39 anni e di professione fa il consulente finanziario. Da dieci anni, a Natale, smette i suoi rigorosi abiti professionali ed indossa - letteralmente - quelli di Babbo Natale per portare auguri, doni e soprattutto abbracci agli anziani ospiti delle strutture di riposo di Padova, ai pazienti dell’Istituto Oncologico Veneto ed ai bambini dei reparti di pediatria degli ospedali della provincia patavina.
Fa tutto da solo: è un “volontario al singolare”, slegato da organizzazioni strutturate, locali o nazionali. Il suo percorso ha avuto inizio quando, nel 2008, durante il periodo natalizio, gli capitò di andare con i suoi familiari a far visita ad una zia ricoverata in una struttura per anziani; tutto gli sembrò tristissimo: non c’erano addobbi né musica né sorrisi. Nacque allora la sua idea, delicata, semplice, bellissima: tornare a far visita alla zia ma anche ai suoi vicini di stanza con un piccolo dono, per non dimenticare chiunque per vecchiaia, solitudine o malattia non aveva un Natale di quelli che accolgono, scaldano, avvolgono in un’atmosfera di amore familiare.
E così, anno dopo anno, Alessio è tornato in quella ed in altre strutture, arrivando prima vestito da Babbo Natale, poi portando anche la musica e persino un elfo (la sua fidanzata), e dispensando piccoli doni, cioccolatini, sorrisi e parole, tante parole, perché molto spesso davanti aveva persone che non parlavano con nessuno, tanto che la loro voce era diventata flebile ed insicura, si ritraevano nella loro solitudine, si rassegnavano a tenere gli occhi chiusi, addirittura incrostati, come se avessero voluto cancellare la visione di un mondo che non li accoglieva più.
Ora, a Natale, la casa di Alessio diventa una specie di magazzino, un’officina dove si accumulano scatoli e si confezionano pacchetti; dallo scorso anno ha fondato anche una vera e propria associazione: “Ale il Babbo Natale”, così da poter aggiungere alle donazioni di parenti ed amici, che fino ad allora avevano finanziato l’iniziativa, anche quelle di altri soggetti ed enti.

C’è stata, poi, un’altra asta che non ha visto protagonisti facoltosi collezionisti, discutibili opere d’arte e scintillanti gallerie d’esposizione, ma una piccola comunità di 1500 anime, autrice di una storia di solidarietà ed amicizia straordinaria.
A Tula, un piccolo paesino in provincia di Sassari, vive Tomasino, un operaio di 56 anni che, con i risparmi di una vita di lavoro e sacrifici, ha costruito la sua casa, dove vive con la moglie ed i suoi due figli.
Dopo una serie di disavventure, però, all’inizio dell’anno Tomasino perde il lavoro e, non potendo più sostenere il pagamento delle rate del mutuo, si vede pignorare dalla banca la sua casa, che finisce in vendita all’asta.
L’uomo è disperato ed altro non gli resta da fare che rivolgersi ai servizi sociali. Il Comune allora si attiva ed il sindaco per primo chiama rinforzi, rivolgendosi all’intera comunità.
Ed ecco che la macchina della solidarietà, dell’altruismo, dell’aiuto incondizionato si mette in moto: associazioni, parrocchia, comitati di festa si attivano per aiutare il loro concittadino e la sua famiglia, organizzando lotterie, raccolte di fondi tramite piattaforme digitali, sagre paesane e quant’altro possa servire a racimolare quei 27mila euro stabiliti dal Tribunale come prezzo per l’asta della casa di Tomasino.
Nel giro di pochi mesi (dopo aver perfino ottenuto dal giudice il differimento dell’asta) tutto si compie e, nel giorno fissato per la vendita, i soldi ci sono tutti: la casa viene ricomprata dai cittadini di Tula e donata al vecchio proprietario.

Cos’altro serve aggiungere?
Forse solo la considerazione che ciò che ha davvero valore, che veramente meriterebbe almeno un racconto - se non proprio la gloria - è molto spesso ignorato o sconosciuto, avvezzi come siamo, ormai, ad esaltare tutto quello che alimenta la vanità e l’apparenza piuttosto che la semplicità, la gentilezza, la solidarietà e il senso d’appartenenza ad una umanità che, per fortuna, sa ancora essere generosa ed autentica.

Ma forse è meglio così: la bellezza dei gesti (che è di certo un’arte, ma d’altro tipo) è insita nel loro significato e non nel clamore che accompagna il nome di chi li compie.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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