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Il fermento della campagna elettorale, già ampiamente avviata in vista delle prossime elezioni del 4 marzo per il rinnovo della legislatura, ha come non mai costituito la cornice ideale per lo svolgersi degli Stati Generali dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, tenutisi ieri a Roma alla Nuvola di Fuksas.
Ideale proprio perché, in un contesto in cui tutte le forze politiche si concentrano e scendono in campo a proporre i rispettivi programmi, può di certo trovarsi la platea più adatta cui presentare le istanze della categoria e manifestare la posizione dei commercialisti rispetto alle numerose criticità del sistema legislativo e fiscale che rischiano di infierire sulla drammatica crisi economica che affligge il Paese.
Con questa premessa e nella convinzione che “solo da un ascolto ragionato può derivare la costruzione di un programma che tenga concretamente conto dei contributi che i diversi attori del sistema sono pronti a fornire”, il Presidente del CNDCEC, Massimo Miani, ha titolato la propria relazione d’apertura della convention, calcando sulla necessità che i leader politici chiamati ad intervenirvi, più che cogliere l’occasione di manifestare il punto di vista della loro bandiera, abbiano conto di alcuni aspetti fondamentali della professione sui quali si richiedono “interventi normativi urgenti che, per l’ampiezza degli interessi coinvolti, non possono e non devono essere considerati il risultato di mere istanze di parte.”
Prendendo spunto da uno studio elaborato dalla Fondazione nazionale dei Commercialisti e dai risultati di un’indagine sul costo degli adempimenti fiscali, così come tra l’altro emersi dalla somministrazione di alcuni questionari rivolti ai professionisti, l’ultimo dei quali – sullo spesometro – inviato lo scorso novembre, la relazione del Presidente Miani ha, dunque, ampiamente passato in rassegna le maggiori problematiche emerse.
Prima tra tutte, quella che ha definito la “Babele Fiscale”, lo smisurato proliferare di interventi normativi che si susseguono, si accavallano, si confondono: “Dal 2008 al 2017 sono state emanate 10 Leggi di Bilancio, per un totale di 5.795 commi, che tuttavia non sono bastate per la tenuta dei conti pubblici, essendosi resa necessaria l’approvazione di ben 22 Manovre correttive, composte da altri 4.006 commi. Ogni Legge di Bilancio porta inoltre con sé una mole consistente di decreti attuativi da varare. Considerando soltanto l’ultima Legge di Bilancio, quella relativa al 2018, essa richiede un voluminoso pacchetto di ben 189 decreti attuativi. Se consideriamo il periodo 2013-2016, il numero di tali decreti è risultato pari a circa 430.Ci sono poi le riforme fiscali. Per l’ultima in ordine di tempo, quella del 2014, sono stati emanati, tra il 2014 e 2015, 11 decreti legislativi di attuazione, corrispondenti ad un totale di 168 articoli e 490 commi. Sempre negli ultimi 10 anni, sono stati inoltre emanati ben 8 Decreti-Legge “Milleproroghe”, che corrispondono ad un totale di 153 articoli e 743 commi.”
E lo stesso dicasi per la documentazione fiscale che, negli ultimi dieci anni ha toccato cifre eccezionali tra provvedimenti e documenti di prassi emessi dall’Agenzia delle Entrate, dalla Guardia di Finanza e dal Ministero dell’Economia: in particolare, sono stati emanati 4.367 documenti di prassi, per un totale di 57.571 pagine; soltanto nel 2017 sono state pubblicate dall’Agenzia delle entrate 28 Circolari, per un totale di 1.182 pagine, 161 Risoluzioni, per un totale di 823 pagine, e 239 Provvedimenti, per un totale di 1.073 pagine. Nel 2008 si era arrivati a 2298 pagine.
A ciò vanno poi ad aggiungersi le pronunce di merito delle Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali e quelle di legittimità della Cassazione.
Un contesto confuso, dunque, sul quale – in termini più strettamente economici - s’innesta l’aumento del debito pubblico che – sceso sotto al 100% del PIL nel 2007 – è risalito al 132% nel 2016.
La pressione fiscale parimenti è aumentata fino a raggiungere il record storico del 43,6% nel biennio 2012-2013, con un incremento di 4,5 punti di PIL rispetto al 2005: il tutto con le ben note conseguenze del crollo del Prodotto interno lordo, dell’abbattimento di posti di lavoro, dell’esubero dei fallimenti e dell’aumento dell’economia sommersa e dell’evasione fiscale misurata attraverso il tax gap [nel 2014, secondo i dati rivelati dallo studio della FNC, in Italia si sono registrati i livelli più elevati di economia sommersa (196 miliardi, pari al 12,1% del PIL) e gettito evaso (99,4 miliardi, pari al 6,1% del PIL)].
Da ciò la necessità di un rilancio della strategia di lotta all’evasione fiscale che, con le manovre finanziarie messe in atto dallo Stato dal 2015 al 2018 con proiezioni fino al 2020, dovrebbero consentire un recupero di circa 50 miliardi di Euro.
Senonché – rileva Miani - proprio queste strategie presentano dei punti deboli: da un lato l’approssimazione delle stime di recupero del gettito evaso (su cui è persino intervenuta la Banca d’Italia, ammonendo il Governo dall’affidarsi - come ha fatto per gli anni successivi al 2018 - a previsioni di recupero alquanto aleatorie); dall’altro – ed in senso opposto – l’aumento dei costi degli adempimenti a carico di imprese e professionisti.
A tal ultimo riguardo, l’indagine - sopra accennata - condotta dalla FNC, tenuto conto tanto del succedersi degli interventi normativi quanto dell’accennata strategia di lotta all’evasione fiscale messa in campo dallo Stato (e attuata, da ultimo, con strumenti quali Reverse charge, Split payment, Stretta alle compensazioni fiscali, Trasmissioni periodiche delle Liquidazioni Iva e delle Comunicazioni dati fatture emesse e ricevute, Fatturazione elettronica obbligatoria nei confronti della P.A. - e, a breve anche tra privati -) ha rivelato come il costo degli adempimenti fiscali sia lievitato: calcolato su una base di 6 milioni di soggetti (costituita da imprese e professionisti), esso è difatti passato da 58,1 nel 2015 a 60,4 miliardi di euro circa nel 2017, con un aumento in valore assoluto di 2,4 miliardi di euro, corrispondente a una media di 514 euro, passando da 9.577 euro a 10.091 euro per ogni singola partita IVA.
Ed a fronte di siffatti aumenti non si registrano adeguati recuperi, in specie per i professionisti, poiché essi, in molti casi, instaurano con la clientela rapporti consulenziali gestiti tramite compensi di natura forfettaria.
L’indagine evidenzia che, solo nello scorso mese di dicembre, con l’introduzione del nuovo spesometro, si è stimata una perdita per ogni studio pari, in media, a 1.600 euro (circa 113 milioni complessivi per l’intera platea dei Commercialisti).
Da qui il monito di Miani a che lo Stato non riversi sui privati le conseguenze di inadeguate modalità di lotta all’evasione, “costringendoli tra l’altro a fare investimenti che, il più delle volte, non sono compatibili e proporzionati rispetto alle loro dimensioni e alla loro organizzazione, come nel caso della normativa antiriciclaggio ovvero, nell’immediato futuro, della fatturazione elettronica. Non si può pretendere che i Commercialisti lavorino gratuitamente per lo Stato, gravandoli di responsabilità e sottoponendoli ad obblighi anche pesantemente sanzionati, per poi ignorarli ogni qualvolta chiedono misure e interventi per favorire la propria crescita (vd. specializzazioni) ovvero quando lo Stato adotta misure di incentivazione anche finanziaria, dalle quali sono il più delle volte esclusi.”
E da tali ultime considerazioni Miani ha tratto argomento per evidenziare il peso ed il ruolo svolto dai Commercialisti, soprattutto a seguito della digitalizzazione del Fisco: lo studio della FNC ha difatti fornito i numeri del flusso documentale trasmesso attraverso il canale Entratel dell’Agenzia delle Entrate - che è passato da 100,3 milioni del 2014 a 183,3 milioni del 2017, quasi raddoppiando in soli tre anni – nonché quello dei documenti inviati all’Agenzia delle Entrate tramite il Sistema di Interscambio [oltre 85 milioni di fatture emesse in formato elettronico, oltre alle liquidazioni periodiche Iva (12 milioni in un anno) ad alle fatture emesse e ricevute (1,3 miliardi in un anno)]. Su tali cifre i soli commercialisti hanno concorso con l’invio di 78,9 milioni di documenti digitali attraverso il canale Entratel, nei quali si contano il 76% dei modelli relativi alle dichiarazioni dei redditi e l’81% delle dichiarazioni delle società di capitale.
Ma se l’introduzione di questo nuovo sistema digitalizzato ha favorito l’Amministrazione Finanziaria facendole risparmiare 2,3 miliardi di euro dei costi di gestione, all’opposto sono invece aumentati i costi per i Commercialisti, che hanno dovuto adeguare l’organizzazione dei propri studi professionali alle nuove tecnologie. “In sostanza lo Stato risparmia grazie al lavoro dei commercialisti” – ha rilevato Miani: “Secondo le stime della Fondazione nazionale della categoria, negli studi professionali dei commercialisti operano oltre 370 mila addetti per un valore aggiunto complessivo di quasi 24 miliardi di euro, pari all’1,6% del Pil del nostro Paese.”
A fronte di un siffatto coinvolgimento della professione, sarebbe allora giusto, per Miani, che le istituzioni coinvolgessero maggiormente la Professione nel momento in cui si adottano le scelte che impattano sul sistema economico: “Abbiamo sempre offerto il nostro contributo di idee e, anche in questa occasione, intendiamo ribadire alcune proposte, da tempo all’attenzione della politica, che riteniamo cruciali per uno sviluppo del Paese più organico e duraturo e, per quanto ci riguarda più da vicino, per una migliore valorizzazione e crescita della nostra Professione”.
Ecco dunque le dodici proposte esposte dal Presidente Miani, elaborate dalla categoria in base ad esigenze richieste “Per un fisco migliore” e “Per una Professione migliore”.
Tra le prime:
Su tali considerazioni si fonda, pertanto, l’indicata proposta.