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La donna della discordia

Autore: Ester Annetta
Quando l’ha creata, Vera Tiberto Omodeo Salé non avrebbe di certo immaginato che la sua scultura di bronzo “Dal latte materno veniamo” sarebbe stata al centro di una bagarre politica.

Non si sarebbe mai aspettata, probabilmente, che quell’immagine così dolce di maternità - rivisitazione in chiave laica e moderna di tante Madonne del latte, più volte trattate nell’iconografia religiosa classica – potesse dar adito a polemiche tanto pretestuose quanto inconsistenti, soprattutto in un contesto sociale dove, accanto a valori ormai consolidati, se ne reclamano di più nuovi e diversi, dettati proprio da mutate realtà; non poteva sapere che quell’omaggio ad un gesto naturale ed antico, universale, con cui aveva voluto celebrare lo scongiurato pericolo che la grave forma di nefrite di cui aveva a lungo sofferto le negasse la gioia di nutrire al proprio seno la carne della sua carne, potesse essere letta in un’ottica discriminatoria, abissalmente lontano dal suo intento.
Ed è invece proprio quello che è accaduto, ad appena un anno circa dalla sua morte, quando i figli hanno deciso di donare la statua al Comune di Milano, suggerendo di installarla in uno spazio pubblico, una piazza, nello specifico piazza Eleonora Duse.

La Commissione di esperti in materia di opere d’arte per la valutazione di proposte di arredo artistico urbano, istituita nel 2015 dal sindaco Pisapia, lo scorso marzo ha difatti bocciato la richiesta, sostenendo che: «la scultura rappresenta valori certamente rispettabili ma non universalmente condivisibili da tutti, tali da scoraggiarne l’inserimento nello spazio pubblico». Ha quindi proposto che l’opera sia donata ad un istituto privato - come un ospedale o un istituto religioso – “all’interno del quale sia maggiormente valorizzato il tema della maternità, qui espresso con delle sfumature squisitamente religiose”.

Una decisione che ha lasciato basito per primo l’attuale sindaco, che ha risposto alle polemiche immediatamente sorte, dichiarando che avrebbe provveduto a chiedere al suo Comune (tramite una diversa commissione, stavolta) di riesaminare la questione, ritenendo che la statua donata non urti alcuna sensibilità.

Ed è da qui che è necessario partire: quale offesa può esserci in una figura femminile che allatta? Non è forse un’immagine che fa parte della nostra cultura identitaria?

Dobbiamo invece pensare che, nella pratica ormai abusata del politicamente corretto e dell’ostracismo alimentato dai media e dai social, vadano banditi gesti naturali come l’allattamento in quanto non più modello esclusivo all’interno di una concezione allargata di famiglia? Il risvolto negativo non potrebbe invece essere proprio quello di discriminare – al contrario – proprio l’allattamento materno e di cassare la cultura della maternità e della genitorialità?

C’è allora da domandarsi se l’eccessivo liberismo, ormai propagandato ad ogni piè sospinto con ogni mezzo di comunicazione, non finisca a volte per essere così esasperato da giungere ad annientare anche valori e principi tradizionali, scarnificandone il vincolo etico ed umano che rappresentano. E una libertà senza valori, che conquista è?

È vero, viviamo in un mondo in cui nuove pratiche, condivisibili o meno - come l’utero in affitto – hanno alterato il tradizionale concetto di maternità; l’hanno anzi oggettivata, rendendola un bene commercializzabile, a dispetto della sua connaturata gratuità. Ma essa resta comunque la forma più naturale di procreazione, quella che – fortunatamente – conserva ancora intatto un presupposto imprescindibile non altrimenti replicabile: la derivazione di una creatura dal ventre dell’altra, la dualità racchiusa nell’unità.
Il tutto ripetuto in ogni gesto di cura e vicinanza anche successivo all’atto immediato del parto, in quel legame che permane a lungo tra la madre e il figlio e che passa anche attraverso l’atto dell’allattare, in cui ogni volta quel nodo viscerale, quell’unità nella differenza, si reiterano. Non è forse tutto questo una meraviglia?

Perché allora quella statua fa così paura? Forse perché ricorda questa verità, questo valore fondamentale ed universale, che non può che restare inalterabile nonostante ogni tentativo di affiancamento o liberalizzazione?
L’affetto, l’amore per figli non concepiti “direttamente” è ugualmente valido e rispettabile, persino ammirevole, per molti versi.

Ma ciò non esclude il riconoscimento alla maternità “diretta” della sua naturale e ineguagliabile unicità.

Perciò non è alcuno scandalo né alcuna offesa celebrarla in qualunque modo: con gesti, parole, immagini. Statue.
 © FISCAL FOCUS Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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