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Per Francesco

Autore: Ester Annetta
“Madonna che silenzio c’è stasera!” avrebbe esclamato probabilmente egli stesso, mutuando una frase (nonché il titolo) di uno dei suoi film più riusciti.

E lo avrebbe detto con la consueta ironia mista a malinconia che era il suo tratto distintivo, quanto mai appropriato di fronte all’ennesima stoccata di quella mala sorte che in vita lo ha annientato e che ha preteso che persino la sua morte passasse in sordina, offuscata dal clamore suscitato da quella di un personaggio da sempre avvezzo a rubare la scena.

Francesco Nuti se n’è andato così, nello stesso silenzio in cui era ormai confinato da anni, perso nella sua solitudine e tra i suoi demoni, che lentamente avevano logorato la sua mente prima ancora che il fisico decadesse.

Malinconico e sfortunato.

In questi due attributi si può condensare il suo ricordo. Chi ne ha seguito l’ascesa al successo tra gli anni ’80-’90, di Nuti avrà in mente senz’altro la comicità delicata – mai volgare – ed il sorriso appena accennato, che lo rendevano un comico gentile e mansueto; ma altrettanto ricorderà la sua repentina uscita di scena, l’improvvisa ritirata che l’ha consegnato anzitempo all’oblio, scomparso prima ancora che a decretarlo fosse la fine della sua stessa esistenza.

I suoi film, pungenti e limpidi, sono stati chissà perché archiviati, senza che ne restasse traccia sporadica neppure su anonime reti private. Il suo stesso nome ha smesso d’essere citato, senza ricorrenze che ne meritassero una menzione o trasmissioni che lo celebrassero; coniugato sempre al passato – remoto, persino – ogni verbo rivoltogli, come se appartenesse ad una memoria ormai lontana, pur essendo suo malgrado vivo e ancora presente.

Damnatio memoriae chiamavano i latini la pena consistente nella cancellazione di qualsiasi traccia di una qualche persona, come se non fosse mai esistita. Tutte le raffigurazioni (statue, ritratti) del reo dovevano essere distrutte; il suo praenomen non si sarebbe tramandato in seno alla famiglia e sarebbe stato cancellato da tutte le iscrizioni.

Ecco, a Francesco Nuti sembra essere stata destinata questa triste sorte, pur non avendo commesso alcun reato, pur non avendo alcuna colpa eccetto quella d’essersi perduto.

Non si è perso a causa del suo successo, come si potrebbe credere. Chi lo ha conosciuto e ha continuato a restargli vicino nonostante lui rifuggisse ogni presenza e rifiutasse ogni relazione con l’esterno, ha detto che ad un certo punto Francesco ha iniziato a scrutarsi troppo interiormente, senza averne gli strumenti e senza appoggiarsi all’aiuto di qualcuno. E lì, in fondo alla sua anima, ha trovato uno spazio buio e profondo in cui è precipitato senza riuscire a rischiararlo. L’altra caduta, quella fisica, che lo ha reso disabile anche fisicamente, forse non ha aggiunto niente che non avesse già deciso.

Ha chiuso dunque le imposte sul mondo e sulla gente, Francesco, impedendo di far entrare luci, parole e calore in quella voragine scura che lo aveva inghiottito, ed ha preteso di dialogare solo con sé stesso sdoppiandosi in quel suo ‘secondo’ confezionato dallo stordimento di dosi sempre più massicce di alcol.

Depressione e alcolismo.

Questi sono rimasti i suoi unici compagni per il lungo spicchio di vita-non-vissuta in cui è rimasto confinato da quando, a soli 46 anni, ha deciso di fermare il suo tempo, ma non per consegnarlo alla memoria dei grandi – quella dei geni e dei maestri – ma per sottrarlo ad ogni ricordo.

Francesco ha scelto di autodistruggersi, di infliggersi da solo la condanna della solitudine e dell’oblio, come se temesse di non saper gestire la sua improvvisa notorietà o, peggio, la decadenza che avrebbe potuto sopraggiungere. Ha precorso i tempi, si è risolto da sé, nel modo peggiore, prima che lo facesse il destino, senza crederci nella possibilità che un adattamento sarebbe stato sempre possibile.

Ed in questa drammatica decisione lo hanno colpevolmente aiutato tutti coloro che si sono rassegnati a quella fuga, che hanno assecondato quella richiesta di oblio, che hanno evitato di cercarlo senza nemmeno il tentativo di trovarlo.

Forse, ad impedire che si riavvolgesse e riannodasse su sé stesso il nastro della sua esistenza sarebbe bastato che di tanto in tanto, sugli schermi, si svolgesse qualcuna delle sue pellicole; sarebbe servito citare qualcuna delle sue frasi, trasformarla in aforisma o modo di dire, come è accaduto per tante altre e per tanti altri; sarebbe stato necessario tentare di relazionarsi ancora con la sua presenza - fin tanto che era vivo – anziché fingere già la sua assenza.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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