24 febbraio 2018

CNDCEC le risposte ai quesiti degli ordini

Pronto Ordini nr. 5/2018; 323/2017; 292/2017.

Autore: ESTER ANNETTA
Nella sezione Pronto Ordini del sito istituzionale sono state appena pubblicate le risposte fornite lo scorso 5 febbraio dal CNDCEC ad alcuni quesiti posti dagli Ordini su argomenti di diversa natura.

Un primo gruppo di quesiti, formulati dall’Ordine di Reggio Emilia (P.O. 292/2017), riguarda le formalità richieste per la pattuizione dei compensi nascenti da prestazioni professionali.

A riguardo viene rilevato che, a seguito delle modifiche apportate all’art. 9 comma 4 del D. L. 24 gennaio 2012, n. 1 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, che, com’è noto, ha abolito le tariffe professionali) dalla L. 124/2017 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza), sono stati resi più incisivi gli obblighi documentali relativi alla determinazione del compenso posti a carico del professionista al momento del conferimento dell’incarico. Egli è difatti obbligato:
  • a pattuire il compenso, nelle forme previste dall’ordinamento;
  • a rendere noto al cliente, in forma scritta o digitale, il grado di complessità dell’incarico;
  • a fornire i dati della polizza assicurativa per i danni derivanti dall’esercizio dell’attività professionale;
  • a rendere noto al cliente in forma scritta o digitale un preventivo di massima commisurato all’importanza dell’opera e ad indicare nella misura del compenso le singole voci che compongono la prestazione, comprensive di spese, oneri e contributi.

La norma suindicata impone tuttavia la necessità della forma scritta solo in relazione alla determinazione del compenso professionale (peraltro nulla prevedendo per l’ipotesi in cui ciò non accada: dovendosi escludere che il rapporto professionale instaurato sia nullo, ove le parti non facciano alcun rinvio all’applicazione dei parametri generici di determinazione del compenso, deve ritenersi che esso debba essere liquidato in via giudiziale dal giudice); ma, a parere del CNDCEC, essa va completata con la previsione contenuta nell’art. 25 del Codice Deontologico, a mente del quale dev’essere formalizzato per iscritto lo stesso mandato professionale conferito, di cui la determinazione del compenso costituisce parte del contenuto.

In base a queste premesse, quindi, rispondendo ai quesiti, il Consiglio ha chiarito che:
  • il professionista dovrà redigere per iscritto sia il mandato professionale che il preventivo;
  • poiché l’art. 9 del D.L. 1/2012 nulla precisa in ordine alla natura del cliente che conferisce l’incarico professionale, deve ritenersi che gli obblighi da esso codificati valgano tanto per il cliente privato che per il caso in cui cliente sia una pubblica amministrazione;
  • poiché l’art. 25 del codice deontologico prescrive l’obbligo della forma scritta del conferimento del mandato in uno con il preventivo, comminando conseguentemente la sanzione della censura per l’ipotesi di inosservanza, si ritiene che detta sanzione si applichi anche quando la mancanza di forma scritta riguardi il solo preventivo.

Un secondo gruppo di quesiti, formulato dall’Ordine di Savona (P.O.323/2017), riguarda l’esercizio del diritto di accesso agli atti del procedimento disciplinare, in particolare con riferimento alla legittimazione dell’autore dell’esposto, ed alla durata degli obblighi di conservazione della documentazione disciplinare.

Quanto alla legittimazione (ferma restando la necessità di una motivazione posta a fondamento della richiesta) il CN l’ha riconosciuta sussistere in capo all’esponente, poiché – riprendendo quanto affermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato – l’essere stato autore dell’esposto, unitamente ad altri elementi (es.: la sussistenza di un rapporto professionale con l’incolpato), fa sorgere la titolarità di una situazione giuridicamente rilevante che consente la possibilità di accedere agli atti del procedimento che ne è derivato. Ovviamente permane il limite della tutela dei dati sensibili, di quelli giudiziari e di ogni alto elemento che non sia indispensabile alla tutela dei diritti del richiedente: la sua legittimazione si ferma davanti a ciascuna di tali ipotesi.

Quanto ai tempi di conservazione obbligatoria della documentazione, il CN ha rilevato che non ne esistono di fissati per legge per ogni tipologia di atti amministrativi ma sussiste unicamente un obbligo – per tutte le pubbliche amministrazioni e, dunque, anche per gli Ordini – di adottare un sistema di gestione documentale a norma (adozione di piani di conservazione degli archivi, classificazione, organizzazione, ecc.).

Inoltre, poiché gli archivi e i documenti degli enti pubblici sono considerati beni culturali e dunque inalienabili, la loro distruzione è consentita – una volta che non ne sia stata ritenuta necessaria la conservazione – solo previa autorizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali.

Valendo tutto ciò anche per gli Ordini, è dunque necessario, secondo il Consiglio, che essi designino un Responsabile che curi la conservazione, le classificazione e le possibili richieste di scarto della documentazione.

L’ultimo quesito affrontato dal CNDCEC è quello posto dall’Ordine di Roma (P.O. 5/2018) in merito alla possibilità che sia rilasciato il sigillo professionale ad una Società tra professionisti.

Partendo dal rilievo che il sigillo vale a tutelare l’affidamento del pubblico in ordine alla provenienza dell’atto - secondo quanto chiarito dall’art. 3 del Regolamento adottato dal CN – e, pertanto, costituisce titolo identificativo del professionista che lo detiene, nel caso di una Società tra professionisti va evidenziato chi sia il soggetto che redige gli atti professionali.

Infatti, poiché ai sensi dell’art. 10 della L. 183/2011, anche l’incarico conferito a STP può essere eseguito solo dai singoli soggetti che la compongono e che abbiano i requisiti occorrenti per l’esercizio della prestazione richiesta, ne consegue che – stante tale principio della personalità della prestazione – anche il sigillo impiegabile sarà soltanto quello del singolo professionista.
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