21 giugno 2018

Esportazione: l’onere della prova a carico dell’operatore

Autore: Giovambattista Palumbo
Incombe sull'operatore, che voglia fruire dell'esenzione Iva in favore degli esportatori, l'onere di provare il perfezionamento dell'esportazione, potendo l'Ufficio, in mancanza di tale prova, presuntivamente ritenere che i beni siano stati destinati al mercato interno.

Il caso – La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 13905 del 31/05/2018, ha chiarito alcuni profili relativi all’onere probatorio in tema di cessione all’esportazione.

Nel caso di specie, il contribuente, esercente attività di coltivazione floricole e piante ornamentali, impugnava l'avviso di accertamento, e la conseguente cartella di pagamento, per l'anno 2004 per Iva ed Irap, emesso dall'Agenzia delle Entrate, tra le altre, per omessa applicazione Iva su cessioni internazionali, ovvero per esportazione di merce in quantità inferiore al dichiarato.

L'impugnazione, accolta integralmente in primo grado, era respinta in appello limitatamente ad una ripresa relativa a costi non inerenti.
L'Amministrazione finanziaria proponeva allora ricorso per cassazione, denunciando, tra le altre, violazione degli artt. 2697 c.c. e 8 del DPR n. 633 del 1972.

L'Agenzia delle Entrate lamentava, in particolare, con riguardo ad esportazioni poste in essere dal contribuente verso Stati europei non comunitari, che la CTR, in violazione dei criteri di riparto dell'onere probatorio, avesse ritenuto provata l'esportazione delle merci anche in assenza del prescritto documento doganale, ovvero della vidimazione doganale apposta sulla fattura, o sulla bolla di accompagnamento;

La decisione - Il ricorso, secondo la Suprema Corte, era fondato.

Evidenziano, infatti, i giudici di legittimità che la Cassazione ha già avuto modo di affermare, attenendosi al dettato dell'art. 8, comma primo, lett. a, DPR n. 633 del 1972 ("La esportazione deve risultare da documento doganale, o da vidimazione apposta dall'Ufficio doganale su un esemplare della fattura ovvero su un esemplare della bolla di accompagnamento emessa a norma dell'art. 2 del D.P.R. 6 ottobre 1978, n. 627 o, se questa non è prescritta, sul documento di cui all'articolo 21, comma 4, terzo periodo, lettera a"), che la prova della destinazione della merce all'esportazione, nelle cessioni di cui all'art. 8, primo comma, lett. a), del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, il cui onere incombe sul primo cedente in caso di operazioni triangolari, deve essere fornita tramite la documentazione doganale e, quindi, se la dichiarazione di esportazione è effettuata sulla base del Documento Unico Amministrativo (DAU), a mezzo dell'esemplare 3 DAU, munito di timbro e visto dell'ufficio doganale di uscita, ovvero tramite la vidimazione apposta dall'ufficio doganale sulla fattura.

In assenza di tale documentazione, non potendosi comunque addebitare all'esportatore la mancata esibizione di un documento di cui egli non ha la disponibilità, la prova può essere fornita con ogni mezzo che abbia il requisito della certezza ed incontrovertibilità, quale, per esempio, l'attestazione di pubbliche amministrazioni del Paese di destinazione dell'avvenuta presentazione delle merci in dogana, mentre sono inidonei documenti di origine privata, quali le fatture, o la documentazione bancaria attestante il pagamento (cfr., Cass. n. 9825 del 13/05/2016; Cass. n. 3193 del 18/02/2015; Cass. n. 21809 del 05/12/2012).

In conclusione, sottolinea la Corte, incombe sull'operatore, che voglia fruire dell'agevolazione prevista dalla disciplina dell'IVA in favore degli esportatori, l'onere di provare il perfezionamento dell'esportazione, sicché, in mancanza di tale prova, legittimamente l'Ufficio può presuntivamente ritenere che i beni siano stati destinati al mercato interno.

Il giudice d'appello, nel caso di specie, affermando che la pretesa dell'Ufficio non era sorretta "da adeguato supporto probatorio", pur a fronte della conclamata assenza di un documento doganale, aveva quindi errato, addossando all'Ufficio un onere probatorio incombente, invece, sul contribuente.

Conclusioni - Con l'introduzione del nuovo sistema doganale di controllo delle esportazioni e l'introduzione della dichiarazione doganale di esportazione in formato elettronico, del resto, l'esemplare cartaceo n. 3 del DAU è stato sostituito dal DAE (documento amministrativo elettronico), sul quale viene riportato il codice MRN (moviment reference number), laddove il "visto uscire" e dunque il documento e numero che accompagna la merce alla dogana d'uscita della UE è sostituito dal messaggio elettronico della dogana di uscita, detto "risultato di uscita", a cui segue il un messaggio di uscita delle merci detto "notifica di esportazione", che viene inviato al dichiarante. Quindi, ora, la prova dell'uscita delle merci è rappresentata, a tutti gli effetti, dal messaggio elettronico della dogana di uscita, laddove i corrieri che assumono la qualifica di esportatore/speditore sono di fatto gli intestatari delle dichiarazioni, e si occupano poi di inviare all'esportatore una comunicazione (elettronica) contenente il numero del MRN, al fine della verifica sul portale dell'Agenzia delle Dogane.

In termini oggettivi la prova deve comunque attenere alla movimentazione territoriale dei beni oggetto di cessione, laddove l'onere di provare l’effettivo trasferimento del bene nel territorio di altro Stato va posto a carico del contribuente che emette la fattura, dichiarando che l’operazione non è imponibile senza applicare l'imposta nei confronti del cessionario, in ragione del principio generale ex art 2697 c.c., secondo il quale l'onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano la deroga al normale regime impositivo è a carico di chi invoca la deroga agevolativa.
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