20 marzo 2018

Ravvedimento e integrazioni: aspetti penali annullati secondo AIDC

Autore: Redazione Fiscal Focus
L’utilizzo dell’istituto del ravvedimento operoso e dell’integrazione delle dichiarazioni fiscali hanno come finalità lo stesso obiettivo: eliminare gli aspetti sanzionatori e penali. Con la recente norma di comportamento dell’AIDC n. 202, dal titolo “Effetti della rimozione dell’inadempimento tributario in ambito penale”, l’associazione dei commercialisti italiani, contrariamente a quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate, ritiene che l’assenza delle finalità di evadere il fisco determina la non punibilità del reato, e questo anche se manca una espressa previsione nell’art. 13, D.Lgs. n. 74/2000.
Una diversità di vedute, a parere dell’AIDC, porterebbe ad una disparità di trattamento tra contribuenti che hanno corretto le dichiarazioni fiscali e pagato quanto dovuto.

Il ravvedimento operoso - L’AIDC con lo studio in commento afferma che l’istituto del ravvedimento operoso, disciplinato dall’articolo 13, D.Lgs. n. 472/1997, consente all’autore di omissioni o di irregolarità, commesse nell’applicazione delle disposizioni tributarie, di rimediarvi spontaneamente, fruendo di rilevanti riduzioni delle sanzioni amministrative ordinariamente irrogabili.
La relativa disciplina è stata innovata dalla Legge di Stabilità 2015 e dall’ultima riforma del sistema sanzionatorio, disposta dal D.Lgs. n. 158/2015, che ne ha implementato la portata.
Affinché il ravvedimento operoso esplichi effetti ai fini della regolarizzazione della violazione, tuttavia, è necessario effettuare il versamento delle imposte dovute, unitamente alle sanzioni previste per la specifica violazione e agli interessi legali, ovvero presentare o integrare la dichiarazione fiscale, se l’adempimento è dichiarativo.

L’emendabilità dell’errore - L’AIDC osserva che anche in ambito dichiarativo, è prevista l’emendabilità dell’errore, in ragione della natura della dichiarazione fiscale di manifestazione di scienza e non di volontà negoziale. In tale contesto, invero, gli articoli 2 e 8 D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, rispettivamente ai commi 8 e 6-bis, consentono la correzione degli errori e l'integrazione delle omissioni commesse nella redazione delle dichiarazioni fiscali, mediante la presentazione di una successiva dichiarazione, integrativa dei dati errati o mancanti, che deve essere prodotta, anche in via telematica, utilizzando i modelli approvati per il periodo di imposta cui le integrazioni si riferiscono. Per procedere alla presentazione della dichiarazione integrativa la norma richiede unicamente che la dichiarazione originaria sia stata validamente e tempestivamente presentata.

I reati penali - Lo studio dell’AIDC passa in rassegna la normativa di riferimento in materia di reati di natura tributaria; l’articolo 2, D.lgs. n. 74/2000 dispone che sia punito chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indichi in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi. Del pari, la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici si configura, ai sensi dell’articolo 3 dello stesso decreto, allorché, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, si indichi in dichiarazione un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento e a indurre in errore l'amministrazione finanziaria. A norma dell’articolo 8, D.lgs. n. 74/2000, è poi punito chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

Le conclusioni - Lo studio dell’AIDC evidenzia che in presenza di dichiarazioni emendate, di integrale versamento delle imposte e, dunque, di estinzione dell’obbligazione tributaria entro i termini di cui all’articolo 13, del D.Lgs. 472/1997, l’unico elemento ostativo alla non punibilità delle ipotesi di reato resterebbe fondata solo su una mera scelta politico criminale del legislatore della riforma, che avrebbe “così riservato l’effetto della non punibilità conseguente al ravvedimento ai reati diversi da quelli di frode, prescindendo dall’integrarsi della resipiscenza nelle altre ipotesi”.

Tale preclusione sarebbe, però, secondo l’AIDS, passibile di censura, poiché integrerebbe un’evidente disparità di trattamento, poiché applicherebbe, ingiustificatamente, misure diseguali a soggetti, che, allo stesso modo, hanno sanato interamente il debito tributario, integrando ed emendando le dichiarazioni infedeli, e, dunque, estinguendo l’obbligazione tributaria.
L’associazione osserva che in merito, l’unica obiezione (sollevata da parte della dottrina) potrebbe attenere all’inapplicabilità dell’articolo 13, D.lgs. n. 74/2000 in ipotesi di reato, che non presuppongano un debito d’imposta, come nel caso dell’articolo 8.
Tale obiezione, tuttavia, osserva l’associazione è facilmente superabile, proprio in ragione della riformulazione del testo dell’articolo 13, con l’aggiunta al termine “tributo” dell’espressione “comprese sanzioni amministrative e interessi”, quale oggetto necessario di pagamento per accedere ai benefici ivi disposti.

In sostanza la presentazione di una dichiarazione integrativa, posta in essere per sanare una dichiarazione infedele, comporta in ogni caso il versamento della sanzione autonoma connessa all’obbligo dichiarativo, anche in assenza di debito d’imposta. Di conseguenza, osserva l’AIDC se, dunque, è consentito presentare una dichiarazione integrativa in tutte le fattispecie, ottemperando al dettato delle disposizioni fiscali che disciplinano il ravvedimento e l’integrazione delle dichiarazioni, non devono poter sussistere valide ragioni ostative alla non punibilità del reato, a seguito di rimozione della violazione, anche in ipotesi di condotte originariamente fraudolente.
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