4 giugno 2022

Dov’è finita la riforma?

Autore: Paolo Iaccarino
La riforma fiscale non riesce a trovare pace, fra piccoli e grandi giochi di potere. Ferma al palo, ormai da mesi, la delega del Governo procede molto lentamente rispetto agli annunci delle prime ore. Anche l’effetto dei recenti emendamenti è decisamente deludente. Pochi principi, sempre gli stessi, nessuna vera rivoluzione.

Le ultime correzioni si concentrano essenzialmente su due direttive. La prima è relativa al mantenimento delle disposizioni di cui all’articolo 1, commi da 54 a 89, della Legge 23 dicembre 2014 numero 190, in materia di contribuenti minori, con l’introduzione di uno scivolo biennale finalizzato a favorire il passaggio dal regime forfetario a quello regime ordinario. Nel biennio successivo alla fuoriuscita, come era stato ampiamente anticipato, si applicherà un regime, anch’esso sostitutivo, che dovrebbe riguardare esclusivamente l’imposta sui redditi e non più l’Iva. Per il resto la riforma dell’Irpef è lasciata alla revisione, ulteriormente progressiva dell’imposta, orientata alla riduzione delle imposte per i redditi medio bassi.

La seconda direttiva, pur mantenendo il tradizionale sistema di calcolo del saldo e degli acconti, introduce la possibilità di distribuire il carico fiscale nel corso dell’anno, senza penalizzazione e maggiori oneri per i contribuenti, secondo un meccanismo di progressiva mensilizzazione delle imposte sui redditi. Il sistema, pensato per i lavoratori autonomi, gli imprenditori individuali e tutte le imprese che applicano gli indicatori sintetici di affidabilità fiscale di cui all’articolo 9 bis del decreto legge 24 aprile 2017 n. 50, avvicinerà questi ultimi al mondo del lavoro dipendente, con versamenti mensili del tutto simili alle ritenute subite dai lavoratori subordinati.

Tralasciando fantomatiche ipotesi di riorganizzazioni delle detrazioni fiscali o mirabolanti micro riduzioni delle imposte, le direttive che hanno trovato spazio nell’ultimo passaggio parlamentare hanno il pregio di cogliere due problemi reali del nostro ordinamento tributario. Il passaggio fra regimi fiscali differenti, oltre che risultare traumatico per il portafoglio, lo è anche a livello organizzativo. Consentire uno scivolo, con regole uniformi, o quantomeno compatibili, consentirà ai contribuenti interessati, come ai loro professionisti, una serena transizione. D’altro canto la mensilizzazione dei versamenti avrà inevitabilmente l’effetto di favorire i versamenti delle imposte, evitando il cumulo fra saldo e acconti che, in determinati contesti, assorbe quasi integralmente l’importo dichiarato. Tale sistema, fra l’altro, regolarizza una tendenza ampiamente diffusa fra gli operatori del settore, ovvero quella di frazionare artificiosamente i versamenti dovuti e provvedere progressivamente al loro successivo ravvedimento.

Ancora una volta quella che era stata annunciata quale una profonda riforma del sistema, sostenuta dalle risorse del PNRR e redatta dai migliori sul campo, si rivelerà un’azione a metà, incapace di liberare l’intero ordinamento tributario dalle trappole che lo caratterizzano. Un problema troppo complesso da risolvere o una chiara volontà, come nel Gattopardo? Se davvero la volontà comune alle forze politiche è quella che tutto rimanga così come è, bisogna che tutto cambi, apparentemente.
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