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Una società di capitali a ristretta base sociale, partecipata per il 50,50% da una s.n.c. e per il 49,50% da una S.r.l. (a sua volta detenuta dalla prima società per il 95,76%, con la restante quota in capo a membri della medesima famiglia), ha ricevuto un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate ha contestato l’indeducibilità di taluni costi e la detraibilità dell’IVA. Secondo l’Amministrazione finanziaria, tali costi erano privi di giustificazione e di idonea documentazione; di conseguenza sono state recuperate IRES, IRAP e IVA a carico della società, presumendo che i maggiori utili correlati ai costi “disconosciuti” fossero stati distribuiti ai soci c.d. indiretti, ossia alle persone che esercitavano il controllo delle società e ne detenevano quote di partecipazione. I soci hanno impugnato gli atti, deducendo l’inapplicabilità della presunzione: poiché i soci della società accertata erano le società (s.n.c. e S.r.l.) e non le persone fisiche, la c.d. “catena presuntiva” avrebbe dovuto interrompersi. I giudici di primo e di secondo grado hanno rigettato tale tesi, confermando la legittimità degli accertamenti. La controversia è stata quindi portata dinanzi alla Suprema Corte.
Il fulcro della controversia risiede nell’interpretazione del concetto di società “a ristretta base sociale”. Si tratta di una figura, di elaborazione pretoria, che indica, in genere, società composte da soggetti legati da vincoli di parentela o affinità, i quali esercitano un controllo incisivo sulla gestione sociale. In tali casi opera una presunzione relativa: si presume che gli utili extracontabili o “occulti” siano automaticamente distribuiti ai soci e, come tali, tassati in capo a questi ultimi quali redditi di capitale, salvo prova contraria.
I soccombenti hanno proposto ricorso per Cassazione, adducendo motivazioni attinenti sia al profilo soggettivo sia a quello oggettivo. In primis, hanno sottolineato di non appartenere, nel caso di specie, alla categoria delle persone fisiche, bensì ad altre entità giuridiche, nonché l’assenza del presupposto del diretto controllo da parte di un ristretto numero di individui che esercitano un controllo effettivo.
Sotto il profilo oggettivo, i ricorrenti hanno sostenuto che un costo di fatto indeducibile non comporti automaticamente una maggiore disponibilità finanziaria.
Gli Ermellini, in apertura, hanno ribadito il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, secondo cui, ai fini della qualificazione di una società a ristretta base sociale, non ci si arresta alla “forma”, ma occorre svolgere un controllo approfondito per considerare la struttura di controllo effettiva. Tuttavia, sul piano logico e fiscale, un costo indeducibile è un componente negativo di reddito che la società non ha effettivamente sostenuto; eliminarlo dal bilancio comporta, di fatto, una maggiore disponibilità di risorse economiche per la società, ovvero un incremento degli utili. Tra gli utili extracontabili sono compresi, oltre ai maggiori componenti positivi, anche i componenti negativi disconosciuti.
Con tale pronuncia, l’orientamento giurisprudenziale si consolida: la presunzione di distribuzione degli utili ai soci non si azzera con la semplice esistenza di strutture societarie “preordinate”. Sia i giudici tributari sia l’Agenzia delle Entrate sono pienamente legittimati a guardare oltre il velo delle apparenze, al fine di individuare i reali beneficiari dei profitti conseguiti. Tale orientamento giurisprudenziale funge anche da deterrente: la mera costituzione di holding o società interposte non è sufficiente a elidere la presunzione, quando il controllo effettivo rimane concentrato. Accertata la “ristretta base sociale”, l’onere della prova viene traslato sul contribuente, tenuto a dimostrare che i maggiori utili non sono stati distribuiti ai soci, bensì reinvestiti nell’impresa ovvero accantonati a riserva.
La presunzione della distribuzione degli utili in una società a ristretta base sociale si applica anche quando i soci sono altre società e non persone fisiche?
Sì, è ormai una prassi consolidata da parte della Suprema Corte. La presunzione opera perché ciò che rileva è il controllo effettivo del fenomeno economico, senza che siano rilevanti gli schermi societari interposti.
Esiste un criterio per determinare nello specifico se una società ha una base sociale ristretta?
Se il controllo dell’attività sociale è concentrato in poche mani, soprattutto se legate da vincoli di parentela o affinità.
Un costo disconosciuto dal fisco può essere considerato un utile “extracontabile”?
Sì, se il costo non è ben documentato viene trattato come se fosse un componente negativo di reddito che la società non ha effettivamente sostenuto. Ciò genera una disponibilità tale di risorse che in una società a ristretta base sociale si presume distribuita ai soci.
Alfa S.p.A. è partecipata al 50% da Beta S.r.l. e, per il restante 50%, da Gamma S.r.l., a sua volta detenuta da Beta S.r.l. Dietro queste società vi sono pochi familiari che, gestiscono “l’affare sociale” determinando la c.d. «base ristretta».
Il Fisco contesta almeno 100.000 euro di costi non deducibili, privi di giustificativi, che si traducono in costi che, in realtà, Alfa non ha sostenuto; per tale motivo l’utile effettivo è più alto.
Se il controllo è concentrato in poche persone, si presume che l’utile extracontabile sia stato distribuito ai veri controllori, cioè a coloro che tirano le redini delle società. Tali somme sono tassate direttamente ai soci, a meno che non venga dimostrato il contrario.
Per azzerare la presunzione è necessario produrre un verbale nel quale si attesti che l’utile viene destinato a riserva, unitamente a un bilancio coerente; ordini, fatture e pagamenti registrati in inventario; estratti conto dai quali risulti che le somme restano ad Alfa, senza bonifici verso soci e parti correlate.
Nel caso in cui la presunzione permanga, poiché non viene dimostrata la destinazione degli utili extracontabili, gli utili si considerano distribuiti ai soci e sono tassati in capo a loro; nel caso in cui la presunzione cada, i 100.000 euro non vengono imputati ai soci e restano gli effetti fiscali in capo alla società per i costi disconosciuti.
Presunzione di distribuzione di utili extracontabili nelle società di capitali a ristretta base non è neutralizzata dallo schermo societario; rileva la sostanza del controllo.
Massima: non è presunzione di secondo grado; fatto noto è la ristrettezza dell’assetto che implica vincolo di solidarietà/reciproco controllo tra soci.
Massima: l’imputazione ai soci del maggior reddito accertato in capo alla società prescinde dalle modalità dell’accertamento (anche se adesivo).
Massima: per vincere la presunzione, il socio deve contestare l’effettivo conseguimento di utili extracontabili, non limitarsi a eccepire l’assenza di un accertamento definitivo sulla società.
Massima: la presunzione opera anche con soci “di secondo livello” e partecipazioni a cascata; conta il controllo sostanziale concentrato in poche mani.
(prezzi IVA esclusa)