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Disuguaglianze

Autore: Ester Annetta
Un primo match Novak Djokovic se l’è aggiudicato, e non riguarda una partita sul campo da tennis ma una sfida che scoperchia altri fronti, dove il conflitto investe soprattutto la coerenza, la credibilità e l’equità d’uno Stato.

L’uomo che non sa perdere, il numero uno al mondo tra i tennisti, ha ottenuto dalla Melbourne Federal Circuit Court l’annullamento della revoca del suo visto d’ingresso in Australia - disposta secondo le norme in vigore nello Stato di Victoria (che non consente l’ingresso ai non vaccinati anche se guariti dal Covid) - sebbene l’ultima parola sulla sua permanenza (e, dunque, sulla sua partecipaione al prestigioso torneo per cui era volato fin laggiù) spetti ancora al Ministro per l’Immigrazione; ove questi si pronunciasse per la sua espulsione, al campione sarebbe precluso l’ingresso in Australia per tre anni e, dunque, la partecipazione ai futuri Open.

Ve le immaginate le conseguenze di tutto questo? La discesa del dio qualche gradino più giù dalla vetta dell’Olimpo dei più forti, il danno d’immagine, le perdite economiche collegate a sponsor, gadget e ad ogni altro indotto che gravita attorno alla figura del campione e chissà cos’altro che nemmeno riesco ad immaginare.

Sarebbe tuttavia, per altro verso, uno straordinario smacco alla spocchia, una lezione sulla validità del principio “la legge è uguale per tutti” che scavalca l’arroganza e la superbia dei “lei non sa chi sono io”, fornendo un pregevole esempio di giustizia ed imparzialità.

A tanto si aggiungerebbe, pure, un monito indiretto alla tracotanza ed alla pretesa verità del gregge No-vax, poiché questa vicenda diverrebbe un marcato esempio (peraltro paradossalmente più efficace della minaccia d’una sanzione o del rischio di ammalarsi seriamente) di quanto la condizione di contestatori della politica vaccinale possa essere limitante.

Ma c’è anche di più, che emerge nettamente dal contrasto tra la pretesa offesa recata ad un dio in terra (paragonato da suo padre niente meno che a Gesù Cristo), costretto a passare qualche giorno in un luogo replica d’un girone infernale, e la condanna reale di coloro che, per una sorte contro cui nessuno ha potere d’intercessione, quell’inferno sono costretti a subirlo per condizione naturale, quasi fosse una clausola incancellabile del loro contratto con l’esistenza.

Non hanno narrato altro le cronache di questi giorni che la vergogna e l’infamia che è stato costretto a subire il campione mondiale del tennis, alloggiato insieme ad altri irregolari – per i quali è però più efficace parlare di clandestini, profughi, rifugiati – in un ex albergo trasformato in semi-prigione, dove veniva servito cibo avariato condito da insetti e larve e le condizioni igieniche e di confort non erano certo da strutture 5 stelle superior quali quelle cui il povero Novak è abituato.

Orrore! Scandalo! Complotto! E’ inaudito che proprio lui, un mito vivente, sia stato prima tenuto fermo per ore in aeroporto, guardato a vista e sottoposto ad un interrogatorio infinito e, poi, rinchiuso – come un qualunque altro misero scarto dell’umanità – in un centro detentivo per immigrati irregolari a condividerne la nefanda condizione!

Ma bene è stato, se la sua breve detenzione è servita a scoperchiare la disumana realtà dell’ennesimo “carcere”, se ha portato alla ribalta il dramma di esseri umani dimenticati in attesa d’un giudizio che per loro non impiegherà pochi giorni ad arrivare, se ha raccontato tante storie di solitudine ed abbandono. Tra tutte, quella di Mehdi Ali, profugo iraniano, che oggi ha 24 anni ed è rinchiuso al Park Hotel dei clandestini da quando ne aveva 15. Ha visto le luci e i fuochi di Natale e di Capodanno per la nona volta dalle finestre della sua prigione, sognando i suoi cari, la sua casa, la libertà. Lì dentro il tempo scorre lentissimo – ha raccontato - senza alcun impegno o distrazione e senza nemmeno garanzie d’assistenza sanitaria adeguata né tanto meno istruzione. La sua sola colpa è quella d’essere scappato dal suo paese ed essere arrivato lì su una barca. Per ciò solo ha finito per crescere in quel carcere, dove tutta la sua adolescenza è andata perduta.

Suo malgrado, in tutta questa vicenda il campione ha avuto dunque un merito diverso da quello dei suoi consueti successi sportivi.

E, allora, se davvero la sua grandezza lo rende altrettanto potente, che si impegni anche in umanità, spostando per una volta l’asse dell’attenzione dalla propria personale vicenda a quella di chi non gode dei suoi stessi privilegi, della stessa assistenza, del supporto reale o mediatico del mondo intero.

Basterebbe che, ripensando all’umiliazione che ha lamentato d’aver patito in quei pochi giorni trascorsi all’Inferno, ricordasse che, per tanti altri, quel passaggio dura molto di più; che comprendesse che, se per lui il primo bisogno avvertito subito dopo la “scarcerazione” è stato quello di riprendere immediatamente gli allenamenti in campo, per chi ancora la libertà la sogna, i desideri sospesi sono ben altri, più umili e semplici: riallenarsi a vivere, per esempio; che, tornando a vincere, la sua vittoria la dedicasse a chi non ne avrà notizia, isolato com’è dal mondo che lo circonda; che pensasse che, chi non ha nemmeno la centesima parte dei suoi mezzi, in quel posto d’infamia e solitudine dovrà continuare a restarci e non per il capriccio di voler essere un anticonformista ma per aver provato a cercare una condizione di vita appena migliore.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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