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Il concorso

Autore: Ester Annetta
Nella settimana del concorso scuola 2024 - tuttora in corso di svolgimento - mi sono trovata mio malgrado ad avere l’onere, più che l’onore, di essere designata membro della commissione di vigilanza: una sorta di controllore, addetto alla sorveglianza del corretto svolgimento delle prove e, soprattutto, dell’osservanza delle regole che riguardano il divieto di uso di strumenti elettronici e di scambi, consultazioni, suggerimenti tra concorrenti. Né più né meno, insomma, di ciò che bisogna fare in classe ogni volta che si assegna una verifica agli alunni; solo che, in tal caso, i “sorvegliati” sono degli adolescenti perlopiù indisciplinati e abili conoscitori dell’“arte dello scopiazzo”, mentre, nel caso del concorso, si tratta di adulti di varia età (a volte potenziali figli, a volte fratelli, a volte colleghi persino più anziani) da cui ci si aspetterebbe una condotta adeguata.

So bene cosa si provi a stare dal lato di chi, in questi giorni, siede dietro un pc in attesa che una fantasiosa parola chiave partorita nelle stanze del Ministero consenta l’avvio della prova; non è passato in fondo molto tempo da quando ero io a dover gestire la loro stessa somma di tensioni: per l’attesa, per la fatica, per la consapevolezza che il tempo a disposizione per risolvere in maniera convincente un test o una traccia è quello in cui si gioca la possibilità di un passaggio da un limbo di precarietà ad un zona di maggiori certezze.

Perciò ho provato da subito un istintivo moto empatico verso tutti, specie per coloro visibilmente più tesi e preoccupati (qualcuno perfino in lacrime!) e per quelli che, con molta umiltà, si sono trovati accanto a concorrenti che avrebbero potuto essere loro figli e perfino nipoti.

Tanti giovani freschi di laurea, tanti “ex-altro” virati verso un’alternativa che pare più sicura, tanti precari storici in cerca di stabilità. Una schiera che, su tutto il territorio nazionale, conta, per questa tornata di prove, 370mila aspiranti al ruolo, per un numero di posti che è tuttavia meno di un ottavo, al netto, ovviamente, di chi non supererà questa prima fase dei quiz, causa di rabbia e demotivazione per molti.

Uno dei punti più controversi di questo concorso è, difatti, proprio questo: l’affidare le sorti di migliaia di insegnanti, talvolta già operativi da decenni nelle scuole, non all’esperienza né alla preparazione specifica ma ad una batteria di 50 quiz a risposta multipla, da completare in 100 minuti (ma il tempo è decisamente il dato meno rilevante), i cui contenuti abbracciano prevalentemente specifici e insidiosi argomenti di pedagogia e psicologia, passando per qualche accenno di cultura generale, di lingua inglese e di informatica e che, molto spesso, vengono risolti più per tentativi e casualità che non per effettiva conoscenza.

Un sistema selettivo che per i più risulta frustrante, specie se di pedagogia “teorica” si è digiuni, giacché è a quella “pratica” che, sul campo, si appellano le concrete esigenze degli alunni. Lo stesso vale per le metodologie, che, nei fatti, sono spesso quelle da sempre impiegate efficacemente senza che avessero un nome, che invece è ora preteso (ed è perlopiù un’etichetta anglofona), assieme ad una ricca cornice di definizioni e descrizioni che nulla aggiungono alla già praticata sostanza.

Poi ci sono “le transumanze”: ondate di precari che si sono spostate da ogni regione d’Italia verso quelle dove il numero di posti messi a ruolo per la propria classe di concorso è maggiore e consente perciò più chance, pur restando comunque molto al di sotto delle richieste. È capitato per esempio in Sardegna, dove a fronte di circa 45mila domande, i posti a ruolo assegnati dal Ministero sono soltanto 1464, il che significa che resteranno precari in tanti che hanno comunque preferito concorrere nella propria regione piuttosto che esiliarsi altrove, in regioni dove viceversa, soprattutto su classi di concorso quali il sostegno, i ruoli disponibili sono inferiori alla domanda e, pertanto, è possibile che rimangano perfino scoperti.

C’è, infine, da superare la fase ulteriore, giacché il test svolto in questi giorni ha più che altro lo scopo di effettuare una prima scrematura volta a ridurre il numero di chi andrà a sostenere la successiva prova orale. Ed è solo allora che sarà data realmente l’opportunità di dimostrare l’effettiva preparazione e le reali competenze, sempre che la si affronti col dovuto scrupolo ed impegno, poiché, come non mai, sarà quello il campo in cui si contenderà la più difficile e spietata battaglia tra omologhi.

Ecco, a fronte di tutto questo - incognite, casualità, fortuna, numeri – non mi sono sorpresa nel constatare quanto anche gli adulti, in vista della necessità di raggiungere un obiettivo che muterebbe decisamente la propria condizione, siano indotti a ricorrere a sotterfugi ed espedienti, né più né meno che i loro alunni, ai quali sicuramente, in classe contestano e sanzionano i medesimi comportamenti.

Ho visto perciò concorrenti adulti e maturi nascondere sotto al banco smartphone non riposti (come invece prescritto dal regolamento di concorso) ed utilizzarli di sottecchi per cercare in rete soluzioni che non sapevano dare; o altri, più giovani e intraprendenti (ma soprattutto con la vista ancora perfetta), che con sguardi e occhiate concordavano col vicino di banco la risposta ad un quesito contemporaneamente visualizzato sullo schermo, una volta capito che le batterie di quiz erano composte da domande tutte uguali, solo poste in sequenza diversa.

E che fare, allora? Mettere pedissequamente in atto le prescrizioni del regolamento ed espellere il candidato dalla prova, oppure chiudere un occhio, passarsi la mano sul cuore immaginando storie di vita condizionate dal sogno d’un traguardo di stabilità, piuttosto che sulla coscienza di commissario vigilante?

Avrei avuto la risposta in un senso se a prevalere fosse stato l’accomodamento al principio del fine che giustifica i mezzi, avallata peraltro dall’attenuante che una prova superata non è di per sé sufficiente ad assicurare la vittoria finale; l’avrei invece avuta nell’altro se mi fossi soffermata a pensare che proprio tutto ciò che ci si sforza di insegnare e pretendere dagli adolescenti nostri alunni – lealtà, responsabilità, impegno – viene poi sconfessato dal cattivo esempio di chi quegli insegnamenti è deputato ad impartirli.

Nel dubbio, ho scelto di compilare verbali, documenti e scartoffie varie, così da distogliere lo sguardo dall’ennesimo esperimento malriuscito e caparbiamente reiterato da un Ministero che, a dispetto del nome, di merito finisce spesso per premiarne ben poco.
 © FISCAL FOCUS Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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