6 febbraio 2021

Il signor Giovanni

Autore: Ester Annetta
La voce che sento al telefono mi conferma quello che mi aveva già anticipato la mia amica quando mi aveva dato il suo numero: “Avrà circa cent’anni, non ti aspettare uno di quei fusti delle pubblicità…”

Il signor Giovanni ripara elettrodomestici.

L’emergenza di un suo pronto intervento è scattata qualche sera fa, quando improvvisamente il tubo d’ingresso dell’acqua della lavatrice ha cominciato a perdere, allagando tutto lo spazio intorno.
L’assistenza specializzata sponsorizzata dalla casa-madre si sa che, oltre a non avere spesso tempi immediati, ha anche la pretenziosità di compensi rapportabili a quelli d’un intervento chirurgico in una clinica privata.

Il ricorso a tecnici freelance è, dunque, la pratica pressoché più ricorrente: interventi rapidi a costi contenuti. Ovviamente senza ricevuta e senza garanzia, se non quella dello scontrino d’acquisto dell’eventuale pezzo sostituito.
Ma tant’è.

Quando chiamo, il signor Giovanni mi chiede gentilmente, con voce lenta e pacata, se possiamo risentirci mezz’ora dopo. Non fa il prezioso, no. Mi dice che si trova in una sala d’attesa in ospedale per una visita, ma che si tratta solo di un controllo di routine: una rassicurazione che evidentemente ritiene necessaria, in era Covid.
E difatti, puntualissimo, mi richiama appena trascorsa la mezz’ora.
Esposizione del problema, anamnesi, marca dell’elettrodomestico, indirizzo, giorno e ora dell’appuntamento: in rapida sequenza acquisisce le informazioni che gli occorrono e concorda i tempi d’intervento.

Il signor Giovanni ripara elettrodomestici.
Ed è un uomo gentile.

Giunge puntualissimo, l’indomani, all’ora stabilita. Prima di citofonare preannuncia telefonicamente d’essere arrivato, come a voler dare quel tempo aggiuntivo che una volta solevano prendersi le padrone di casa per dare un ultimo tocco d’ordine prima di ricevere un ospite.
La sua non è una gentilezza di circostanza: è quella autentica e ormai desueta d’una educazione d’altri tempi, improntata sulla discrezione e sul rispetto.

L’ascensore arriva al piano e ad uscirne fuori per primo è un carrello di quelli che i corrieri utilizzano per la consegna dei pacchi più voluminosi. Sopra c’è appoggiata una valigetta di metallo, una sorta di ventiquattrore rinforzata, usata tipicamente per custodire attrezzi e ferramenta varia.
Poi compare anche lui.

Il signor Giovanni ripara elettrodomestici.
È un uomo gentile.
E non ha cent’anni, ma nemmeno molti di meno.

Il suo aspetto conferma l’immagine che mi aveva restituito la voce lenta e pacata che avevo udito al telefono.
Doveva essere molto alto e prestante prima che gli anni gli curvassero le spalle e rallentassero i suoi movimenti, e quegli occhi chiari, che spuntano al di sopra della mascherina, dovevano essere vivi e luminosi prima che un leggero velo di nebbia li appannasse.

Si muove con una lentezza che, tuttavia, sa più di cautela ed attenzione che non di stanchezza. Non indossa alcuna giacca, come se volesse evitare l’imbarazzo di doverla togliere e posare da qualche parte, e sulle mani un po’ deformate dall’artrosi calza un paio di guanti protettivi di lattice.

Non ci sono convenevoli: il signor Giovanni ha intorno un’aura di serietà e rispettabilità che quasi imbarazzano; la sua presenza coincide con un compito e non c’è spazio per altro, nemmeno per l’invito a bere una tazza di caffè che – sempre gentilmente – declina.

L’accompagno dal suo “paziente” – come ironizzo, facendo un altro tentativo per rompere il ghiaccio – ma segue un sorriso appena accennato, stavolta, si, di circostanza.

Azzardo un’ultima premura: la lavatrice è infilata in un mobile, in una posizione non molto comoda e cerco perciò di tirarla in avanti per agevolare l’intervento.

Ma il signor Giovanni dice che non occorre, aggiungendo con una fermezza che sa quasi di rimprovero: “Non si deve preoccupare, sono abituato”. Ed è come se avesse detto: “lei mi vede così, vecchio, lento, affannato e teme che non abbia le forze necessarie: ma questo è il lavoro che ho fatto per una vita e che continuerò a fare finché ce la farò”.

Il signor Giovanni ripara elettrodomestici.
È un uomo gentile.
Non ha cent’anni, ma nemmeno molti di meno. Appartiene, insomma, ad una di quelle categorie che il codice coniato dal Covid etichetta come fragili ed a cui viene raccomandato, più che a ogni altro, di restare a casa e di evitare contatti con altre persone.

Il signor Giovanni dovrebbe poter trascorrere l’inverno al caldo di casa sua, davanti alla tv o con un buon libro e, nelle giornate più tiepide, andarsene a spasso nel parco o per le vie della città, magari fermandosi a guardare i lavori degli operai d’un cantiere urbano.

Dovrebbe avere figli, nipoti, parenti che si prendono cura di lui, che gli portano la spesa, che lo accompagnano a fare una passeggiata o in ospedale a fare il suo controllo di routine, che ascoltano le sue storie, che non lo lasciano solo, che lo fanno sentire amato.

Soprattutto, non dovrebbe avere la necessità di lavorare, ma solo il diritto di trascorrere serenamente e dignitosamente gli ultimi anni della sua vita.

Il signor Giovanni ripara elettrodomestici.
Ed è questo che ha fatto in quel breve tempo in cui è transitato per la mia casa – per la mia vita – silenzioso, discreto e rispettoso, tendendo con pudore la mano, infine, a ricevere l’onesto e corretto compenso richiesto per il suo intervento.

Io non so quali siano la sua vita e la sua storia, ma un solo pensiero mi viene in mente, forte come un desiderio e sentito come una preghiera: che sia solo l’incapacità di arrendersi alla noia della sua età il motivo per cui il signor Giovanni, persino in tempi di pandemia, vada ancora in giro di casa in casa, con la sua valigetta di metallo, per prestare i suoi servizi, e non la necessità di racimolare altrimenti quanto necessario a fare la quadra delle spese del mese, perché ridicola e indignitosa è la pensione che gli resta dopo una vita di lavoro.

Guardatevi intorno. Sono certa che tutti conosciate un signor Giovanni.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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