30 maggio 2020

Le fauci della povertà

Autore: Ester Annetta
Si chiamava Karim Bamba e aveva dieci anni.
Probabilmente non sono molti quelli che hanno sentito parlare di lui o che ricordano il suo nome: la sua vicenda – che pure risale a meno di due settimane fa - l’hanno raccontata solo i notiziari e i giornali locali, e se qualche testata nazionale ha ripreso la notizia, è stato solo di rimbalzo.

Invece la sua triste storia avrebbe meritato ben altro risalto, per dare un’ennesima scrollata alle nostre coscienze, per distrarci dal nostro egoismo e dal nostro autocompatimento ed aprire gli occhi su qualcuna delle tante storie di povertà e disperazione che questo tempo di isolamento ci ha fornito l’alibi per tenerle a distanza.

Karim era uno dei cinque figli di una famiglia di Boltiere, provincia del bergamasco. In una delle terre d’Italia dove il contagio ha mietuto più vittime in assoluto, era riuscito a sfuggire al Covid 19, restando chiuso per tutto il tempo dell’isolamento in uno scantinato, insieme ai suoi fratelli, a suo padre – un immigrato ivoriano - ed a sua madre, una giovane donna palermitana.

Tutti lo conoscevano nel suo quartiere, Karim, il bambino che andava in giro scalzo, e non in ossequio a chissà quale tradizione né perché emulo di un glorioso maratoneta del suo continente d’origine, ma semplicemente perché di scarpe lui non ne aveva o forse le aveva cedute a qualcun altro dei suoi fratelli.

Perciò, appena finito il lockdown, mentre noi tutti, finalmente liberi, riguadagnavamo le nostre vite rivedendo parenti ed amici, ricominciando lo shopping, rifrequentando i bar ed i ristoranti, Karim pure è uscito dal suo rifugio per recuperare qualcosa: una maglietta, una tuta o forse un paio di scarpe, rovistando in uno di quei grossi contenitori gialli della Caritas impiegati per la raccolta degli indumenti usati.

Proviamo ad immaginarlo quel soldo di cacio che si ingegna ad impilare buste di stracci o di altri nostri rifiuti abbandonati intorno ai secchioni, per salirci sopra, così da recuperare qualche centimetro in più che gli consenta di infilarsi nella bocca di quel contenitore. Finalmente ci arriva e può quindi sporgersi all’interno, per rovistare tra quegli scarti di vita altrui, tra quell’ormai vecchio, fuori moda o fuori misura che per lui e i suoi fratelli può invece essere ancora buono e utilizzabile, il solo shopping che mai potranno permettersi: la sua è infatti una delle famiglie più povere della città, con difficoltà economiche molto marcate già prima che arrivasse la crisi che ha accompagnato la pandemia e perciò seguita dai servizi sociali.

Ma lo sportello di pesante lamiera del contenitore si chiude, quasi addentandolo come una bocca famelica, e Karim resta imprigionato, col torace schiacciato, le gambe penzoloni fuori dal contenitore mentre lentamente il suo respiro si ferma nel buio al suo interno.

È così che lo trovano alcuni passanti, che prontamente chiamano i soccorsi. Ma è vana la corsa dell’ambulanza che lo trasporta al Pronto soccorso del Papa Giovanni di Bergamo, lo stesso dove fino a non molto tempo prima tante altre vite sono passate con un’altra fame d’aria, tragica anch’essa, ma mai quanto quella di Karim.

Il piccolo, già in arresto cardiaco, muore poco dopo.

Il resto è silenzio.
Nessuna voce viene data al dolore di una giovane madre né alla rabbia che dovrebbe urlarsi contro una società dove gli ultimi restano sempre ultimi, anche nel contesto di un dramma che tutti ci tocca allo stesso modo; dove importa più che ogni studente sia dotato di un pc o di un telefonino per connettersi alle videolezioni a distanza piuttosto che accertarsi che abbia una famiglia in grado di comprargli almeno un paio di scarpe; dove è più forte l’eco sui notiziari nazionali dell’avventura di un ragazzino che si imbatte in un orso bruno mentre gironzola tra i sentieri di montagna che non il dramma di un altro che viene divorato dalla povertà.

Non fingiamo di non ricordarcene: la povertà non è solo un dato statistico, una percentuale appuntata sulla curva di un grafico; ha sempre nomi, età, storie.
Questa è quella di Karim, che aveva dieci anni e camminava scalzo.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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