5 marzo 2022

Il prezzo della verità

Autore: Paolo Iaccarino
Sono 4,4 miliardi di euro. A tanto ammonta il buco accertato, almeno fino a oggi, causato dalle procedure di cessione del credito e sconto sul corrispettivo. Del monte frodi, la quasi totalità è riconducibile al bonus facciate, il 46 per cento, e all’ecobonus ordinario, il 34 per cento.

Solo la minima parte, invece, sono gli illeciti legati al superbonus, “grazie anche al meccanismo del visto di conformità e dell’asseverazione, applicabile a tale tipologia di bonus edilizio sin dall’origine”. Queste sono le parole proferite dal Ministro Daniele Franco nell’informativa urgente del Governo alla Camera dei Deputati in merito alla cessione dei bonus edilizi. Una sentenza sul buon operato dei professionisti del settore.

Travolto dall’onda delle irregolarità, in più occasioni l’esecutivo è intervenuto per arginare il mare di comunicazioni relative a crediti inesistenti. Prima il Decreto Legge n. 157 del l’11 novembre 2020, il cui contenuto è confluito nella Legge di Stabilità, poi il Decreto Legge n. 4 del 27 gennaio 2022, corretto dal successivo Decreto Legge n. 13 del 25 febbraio 2022, rappresentano il disperato tentativo del governo teso a limitare i danni. Un tentativo obiettivamente tardivo considerando che il sessantasettesimo esecutivo della Repubblica Italiana si è insediato il 13 febbraio 2021.

“Le frodi legate al superbonus sono, invece, relativamente meno diffuse, grazie anche al meccanismo del visto di conformità e dell’asseverazione, applicabile a tale tipologia di bonus edilizio sin dall’origine”. Le parole del Ministro sono come musica per le nostre orecchie, perché rappresentano una verità così difficile da affermare pubblicamente, soprattutto se a farlo è un membro del governo.

Il buon esito dell’intera iniziativa connessa alla possibilità di trasferimento dei crediti d’imposta, ovvero il suo fallimento, non è la conseguenza dell’adozione, o meno, di adeguati presidi da parte degli intermediari finanziari, come nello stesso documento il Ministro dell’Economia e delle Finanze vorrebbe far credere. Non sono state le check list adottate dagli intermediari finanziari a fare la differenza, ma il controllo preventivo dei professionisti chiamati ad apporre il visto di conformità. Non è un caso, infatti, che le frodi si siano concentrate laddove l’obbligo del visto di conformità era assente. Non è una coincidenza, inoltre, che ora, dopo aver accumulato frodi per 4,4 miliardi euro, si sia deciso di estendere il visto di conformità a quelle fattispecie inizialmente esentate.

A fare la differenza, in questo scenario irreale, sono stati i professionisti chiamati dall’articolo 119, comma 11 (prima) e dall’articolo 121, comma 1-ter (poi) del Decreto Rilancio. Non certo gli intermediari finanziari, la cui preoccupazione reale sarebbe dovuta essere solo quella di attuare adeguatamente la normativa antiriciclaggio, lasciando ai professionisti del settore il compito di verificare la regolarità di ogni singola pratica.

Ora che si corre ai ripari emerge ancora più chiaramente il ruolo centrale dei professionisti attestatori e asseveratori. Quando chiamati in causa dalla normativa, questi hanno limitato sensibilmente i tentativi di illecito. Altrettanto chiaramente emerge la responsabilità dell’attuale esecutivo. Nove mesi per comprendere che il visto di conformità doveva essere esteso a tutte le ipotesi di cessione, è un peccato capitale che non ammette alcuna giustificazione.

Sarebbe bastato affermare la verità sin da subito per evitare le conseguenze di 16 mesi di frodi. Senza i commercialisti e gli altri operatori del comparto tributario il sistema fiscale è destinato a collassare su sé stesso. Impegnare i professionisti dove sono realmente utili al sistema, facilitarli nel proprio operato quotidiano, eliminare le incombenze inutili. Questa è la via maestra.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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