17 dicembre 2025

Work for Equity: sottoscrizione del capitale, compensazione del credito e clausole contrattuali essenziali

Lavoro & Consulenza n. 47 - 2025
Autore: Fabiano De Leonardis

Il presente elaborato si pone in prosecuzione dei precedenti, continuando la disamina dell’istituto del Work for Equity a cura della scrivente. Come si è ampiamente avuto modo di argomentare, il WfE costituisce un meccanismo di remunerazione atipica di una prestazione d'opera o servizi di natura professionale qualificata mediante l'assegnazione di strumenti finanziari partecipativi. La fonte normativa primaria è rinvenibile nell' art. 27, comma 4, del D.L. 179/2012 (c.d. Decreto Crescita 2.0), il quale stabilisce l'applicazione di un regime fiscale e contributivo di favore alla corresponsione di "azioni, quote e strumenti finanziari partecipativi" a fronte di un'attività lavorativa, subordinata o autonoma, resa a favore di startup innovative o PMI innovative. Dal punto di vista della tecnica contrattuale, l'operazione prevede l'obbligazione della società di corrispondere un compenso per la prestazione ricevuta, il quale si trasforma in un credito liquido ed esigibile del prestatore d'opera e che viene estinto mediante l'assegnazione pro soluto degli strumenti finanziari. Tale estinzione avviene, in sostanza, mediante conferimento del credito per compensazione con l'obbligo di versamento del capitale (e sovrapprezzo) dovuto per i titoli emessi. Il WfE, pertanto, non rappresenta una mera erogazione liberale, ma un'operazione che incide direttamente sulla struttura del capitale sociale o, in ogni caso, sulla platea dei portatori di strumenti partecipativi della società beneficiaria.

 

La previsione statutaria

L'emissione e l'assegnazione di tali strumenti implicano la necessità di esaminare la disciplina societaria applicabile e, in particolare, l'adeguatezza dello Statuto Sociale. Sul punto, è doveroso premettere che l'art. 27 del D.L. 179/2012 non contiene alcuna esplicita previsione in merito all'obbligatorietà di una clausola statutaria che legittimi il ricorso al Work for Equity e pertanto, in assenza di una disposizione ad hoc nella disciplina speciale, l'analisi si estende al Codice Civile e, segnatamente, alla disciplina delle Società per Azioni. In particolar modo, l' art. 2349 c.c., rubricato “Azioni e strumenti finanziari a favore dei prestatori di lavoro” disciplina i c.d. piani di incentivazione azionaria e dispone l'obbligo di una previsione statutaria: "Se lo statuto lo prevede, l’assemblea straordinaria può deliberare l’assegnazione di utili ai prestatori di lavoro dipendenti delle società [...]". Pertanto, sebbene il WfE e i piani di incentivazione non siano ontologicamente coincidenti, l'art. 2349 c.c. evidenzia una generale esigenza di legittimazione statutaria per operazioni che comportano l'assegnazione di strumenti partecipativi a fronte di prestazioni lavorative.

La differenziazione tra Work for Equity e i Piani di Incentivazione si radica in una netta separazione di causa negoziale e soggettività dei beneficiari. Il legislatore disciplina entrambi gli istituti nell’art. 27 del D.L. 179/2012 ma li tratta in maniera distinta riservando i primi 3 commi ai Piani di Incentivazione e il 4° comma al Work for Equity. 

Il Work for Equity è un istituto la cui ratio è consentire l'acquisizione di prestazioni professionali o servizi professionali resi da soggetti in regime di lavoro autonomo ex Art. 2222 c.c. mediante l'assegnazione diretta di azioni, quote o strumenti finanziari partecipativi. La causa negoziale è, dunque, quella di un conferimento di opera o servizi non in denaro ma piuttosto assimilabile ad un'operazione di scambio in cui la prestazione professionale costituisce il corrispettivo per l'ingresso nel capitale o l'attribuzione di strumenti partecipativi e tale operazione spesso richiede una perizia di stima per l'imputazione al capitale sociale. I Piani di Incentivazione, di contro, sono strumenti di politica retributiva finalizzati alla remunerazione integrativa di soggetti interni, ovvero dipendenti e amministratori, e la loro causa è intimamente legata al rapporto di lavoro subordinato o al mandato gestorio. In tali casi, parliamo di una pluralità di destinatari che dovranno esser fidelizzati nel tempo e pertanto sarà necessario prevedere dei piani di durata anche pluriennale; per converso, il Work for Equity è strettamente correlato ad una prestazione di servizi e pertanto la filiera giuridica è quella tipica di una prestazione di servizi.
 

La Posizione nelle S.r.l.

Per le Società a Responsabilità Limitata manca una norma speculare all'art. 2349 c.c. Nonostante l'assenza di un obbligo normativo espresso per tutte le fattispecie di WfE, si ritiene giuridicamente prudente e preferibile che lo Statuto, sia nelle S.p.A. che nelle S.r.l., preveda espressamente una clausola che conferisca al Consiglio di Amministrazione o all'organo amministrativo la facoltà di deliberare l'assegnazione di azioni, quote o strumenti finanziari partecipativi in regime di WfE a prestatori d'opera e servizi. Questa previsione: i) rafforza la legittimità dell'operazione; ii) semplifica l'iter deliberativo che, in ogni caso, richiede l'intervento di una delibera assembleare notarile per l'aumento di capitale a servizio dell'operazione; iii) tutela la parità di trattamento degli altri soci informandoli ex ante sulle potenziali modifiche della composizione del capitale.

Gli strumenti finanziari da offrire ai beneficiari

Come si è avuto modo di argomentare, Il Work for Equity si configura, nell'ordinamento italiano, come un meccanismo di remunerazione atipica e incentivante di prestazioni d'opera o servizi qualificati resi a favore di startup innovative o PMI innovative, ai sensi dell'art. 27, comma 4, del D.L. 179/2012.

Dal punto di vista della sua esecuzione giuridica, l'operazione non è una mera erogazione, bensì si perfeziona attraverso la compensazione del credito per il compenso maturato dal prestatore d'opera con l'obbligo di sottoscrizione e assegnazione di strumenti finanziari emessi dalla società, incidendo pertanto direttamente sulla struttura partecipativa o di capitale dell'ente emittente e rendendo imprescindibile l'analisi della disciplina societaria.

La normativa ammette l'assegnazione di due macro-categorie di strumenti: i) quote (per le S.r.l.) o azioni (per le S.p.A.), la cui sottoscrizione, una volta compensato il credito, determina l'immediata assunzione della qualifica di socio; ii) strumenti finanziari partecipativi (SFP). 

I primi determinano l'immediata assunzione della qualifica di socio e la loro sottoscrizione tramite aumento di capitale a pagamento è la modalità preferenziale e necessaria per accedere alle ulteriori agevolazioni fiscali previste dall' art. 29 D.L. 179/2012, che consentono la detrazione IRPEF fino al 65% o la deduzione IRES del 30% sull'investimento, in quanto l'operazione è funzionale all'immissione di nuovo capitale. L'acquisto di quote esistenti, infatti, non soddisfa il requisito dell'investimento di nuovo capitale richiesto dalla normativa agevolativa. Gli SFP, disciplinati in via generale dall'art. 2346, comma 6, c.c., rappresentano invece strumenti che non attribuiscono la qualità di socio, pur potendo conferire specifici diritti patrimoniali e amministrativi, con l'unica esclusione del diritto di voto nell'assemblea generale degli azionisti nel caso delle S.p.A.; l'eventuale previsione di clausole di conversione in quote o azioni al raggiungimento di milestone predefinite può tuttavia consentire ai beneficiari di diventare soci della società in un momento successivo, fungendo da meccanismo di vesting e differimento dell'ingresso nella compagine sociale.

Capitale e sovrapprezzo 

La realizzazione di un'operazione di Work for Equity implica la necessità di considerare non solo l'allocazione del credito maturato dal beneficiario a titolo di capitale sociale nominale in termini di quote o azioni, ma anche e soprattutto l'imputazione del sovrapprezzo.

La riserva da sovrapprezzo, ai sensi dell' art.2424 c.c., rappresenta una componente essenziale del Patrimonio Netto di una società e rientra specificamente tra le riserve di capitale in quanto non deriva dagli utili generati dall'attività ma dai conferimenti effettuati dai soci. Essa si origina in un aumento di capitale quando le nuove partecipazioni, in termini di quote o azioni, vengono emesse ad un prezzo complessivo che supera il loro mero valore nominale (a titolo esemplificativo: se il valore nominale di un'azione è €1 e un nuovo socio la paga €5, la riserva da sovrapprezzo aumenta di €4 per ogni azione emessa). Questa eccedenza, versata dal nuovo socio, viene destinata interamente alla riserva di sovrapprezzo. L'utilizzo della riserva di sovrapprezzo è strutturalmente necessario nelle operazioni di aumento di capitale che coinvolgono l'ingresso di nuovi soci in società i quali hanno già generato un significativo valore economico superiore al capitale sociale esistente. Se il nuovo socio dovesse versare unicamente il valore nominale, ciò comporterebbe un ingresso a condizioni di favore, causando una immediata diluizione del valore a danno dei soci preesistenti. Pertanto, per garantire l'equità e preservare il valore per tutti i soci, la parte più rilevante del conferimento, o del credito compensato dal prestatore d'opera nel caso del WfE, viene imputata al sovrapprezzo. L'ammontare del sovrapprezzo è determinato da una valutazione preliminare della società, che stima il suo valore economico prima dell'ingresso del nuovo socio.  Esemplificando, se una società ha già generato valore tangibile e intangibile (in termini di asset, know-how o clientela), il suo valore economico sarà notevolmente superiore al capitale sociale. Conseguentemente, se un nuovo socio entra pagando solo il valore nominale, i soci preesistenti subirebbero una diluizione del valore della loro partecipazione. Il sovrapprezzo quindi agisce come una sorta di pedaggio nel senso che il nuovo socio deve pagare non solo il valore nominale, che va al capitale sociale, ma anche una somma aggiuntiva, il sovrapprezzo, che serve a compensare i soci preesistenti per il valore che hanno già creato e che altrimenti verrebbe diluito. In questo modo, viene garantita un’armonizzazione del valore per l’intera compagine societaria.
 

In merito alla ripartizione del conferimento in aumento di capitale tra valore nominale e sovrapprezzo, la delibera assembleare gode di discrezionalità sulla scomposizione interna. Tuttavia, in presenza di conferimenti in natura o di crediti, come la prestazione d'opera nel WfE, il valore complessivo del conferimento, dato dal capitale più il sovrapprezzo, è vincolato alle risultanze della perizia giurata di stima prevista, a seconda del tipo sociale, dall'art. 2465 c.c. (S.r.l.) o dall'art. 2343 c.c. (S.p.A.). La perizia, dunque, non detta la specifica ripartizione tra nominale e sovrapprezzo, ma certifica il valore massimo del credito da prestazione, fungendo da limite invalicabile che il prezzo di emissione complessivo non può eccedere, garantendo la copertura del quantum conferito in aumento di capitale e la legittimità finanziaria dell'operazione.

Nelle S.r.l., quando l'aumento di capitale avviene mediante conferimenti di crediti derivanti da prestazione nel WfE, l' art. 2465 c.c. impone l'obbligo di presentare una perizia giurata di stima attestante che il valore del conferimento è almeno pari all'ammontare totale che il conferente si impegna a versare in termini di capitale più sovrapprezzo; nelle S.p.A., l'obbligo è previsto dall' art. 2343 c.c. La perizia, dunque, non determina la scomposizione tra nominale e sovrapprezzo, ma vincola e certifica il valore complessivo del conferimento, stabilendo il limite massimo che può essere imputato a capitale e sovrapprezzo. La società può quindi decidere di imputare o meno l'intero conferimento, fino al valore certificato dalla perizia, a sovrapprezzo: in buona sostanza la perizia fornisce la base oggettiva di valore, ma la scomposizione interna è deliberativa.
 

Il contratto di Work for Equity: clausole essenziali

Il successo e la tenuta legale di un'operazione di Work for Equity dipendono dalla corretta implementazione di clausole contrattuali volte a governare la maturazione del diritto partecipativo, il rischio di default del prestatore e la stabilità della compagine sociale.

Il cuore di tale accordo è rappresentato dal meccanismo di Vesting, che definisce il periodo di Vesting ossia il lasso temporale predefinito e vincolante durante il quale il diritto del beneficiario all'assegnazione definitiva delle equity, in termini di azioni o quote, matura in modo progressivo e frazionato, generalmente con cadenza lineare su base mensile o trimestrale.

A tale periodo si affianca imprescindibilmente la clausola di Cliff, che opera come un periodo iniziale di sospensione della maturazione, tipicamente 12 mesi, il cui effetto giuridico è duplice: se il rapporto cessa prima della sua scadenza, il diritto all'assegnazione è integralmente perduto; solo al suo superamento, la prima tranche significativa matura retroattivamente e il vesting progressivo ha inizio.

La gestione della cessazione del rapporto contrattuale è invece demandata alle clausole di Good Leaver e Bad Leaver: la clausola di Bad Leaver è attivata in presenza di una grave violazione contrattuale o statutaria del prestatore, come giusta causa o grave inadempimento, attribuendo alla società il diritto di esercitare una call option sulle equity maturate ad un prezzo punitivo o simbolico, come il valore nominale, e fungendo così da sanzione e prevenire la permanenza di un socio disallineato; di contro, la clausola di Good Leaver si applica quando la risoluzione non è imputabile al prestatore, come può essere un recesso della società senza giusta causa, e conferisce, alternativamente, il diritto alla società di riacquistare le partecipazioni a un prezzo equo (fair market value) o determina l'accelerated vesting, rendendo immediatamente definitive tutte le equity non ancora maturate, in riconoscimento della lealtà e della prestazione resa.

Infine, per tutelare la società nella sua prospettiva a lungo termine e in vista di future operazioni straordinarie, è fondamentale inserire la clausola di Lock-up: questa clausola impone un vincolo di indisponibilità sulle partecipazioni ricevute, impedendo al beneficiario WfE di cedere le proprie equity a terzi per un periodo predeterminato, generalmente 12-36 mesi, a partire dalla data di assegnazione, garantendo così la stabilità della compagine sociale.

A integrazione, per assicurare la piena efficacia e governabilità del rapporto, sono necessarie ulteriori clausole: una clausola di Non Concorrenza ex art. 2125 c.c., e le seguenti clausole parasociali per regolare la liquidabilità e l'uscita dalla compagine:

  • clausola di Drag-Along, o diritto di trascinamento, consiste in una protezione a favore del socio di maggioranza che intende vendere la propria intera partecipazione a un terzo acquirente e consente a tale socio venditore di obbligare i soci di minoranza a vendere anche le loro partecipazioni, alle medesime condizioni contrattuali offerte dall'acquirente; lo scopo primario è garantire l’acquisto del 100% del capitale sociale in quanto, un acquirente strategico è interessato all'operazione solo se ottiene il controllo totale, eliminando la necessità di negoziare separatamente con i singoli soci di minoranza (in sostanza, facilita la cessione totale della società);
  • clausola di Tag-Along, o diritto di co-vendita, rappresenta una protezione a favore dei soci di minoranza e permette, nel caso in cui un socio di maggioranza decide di vendere la propria partecipazione a un terzo acquirente, che i soci di minoranza maturino il diritto di partecipare alla vendita cedendo le loro quote o azioni alle stesse condizioni pattuite per il socio di maggioranza; lo scopo è assicurare che la minoranza abbia la stessa opportunità di uscire dall'investimento ottenendo la liquidità e la valutazione ottenuta dal socio di controllo.

 

Caso

Si forniscono, di seguito, una serie di esempi pratici, delle clausole contrattuali sopra analizzate.

  • VESTING: “Le n…..quote/azioni assegnate al Socio……sono soggette a un periodo di Vesting di quattro (4) anni, con maturazione che decorre dalla data di inizio…... La maturazione avverrà con cadenza annuale in ragione del 25% del totale assegnato per ogni anno trascorso, a condizione che il Socio mantenga il proprio rapporto di collaborazione ininterrottamente”. In tal modo viene subordinato il diritto di piena e incondizionata proprietà delle partecipazioni al decorso del tempo e alla permanenza del socio nella società.
  • CLIFF: “Il piano di Vesting è subordinato all'applicazione di una clausola di Cliff della durata di dodici (12) mesi. Qualora il Socio cessi il proprio rapporto con la Società prima della scadenza del Cliff, il 100% delle quote/azioni rimarranno non maturate (Unvested) e saranno soggette all’opzione di riacquisto al valore nominale”. In questo modo viene sancita la perdita totale del diritto di maturazione e la contestuale facoltà per la Società di riacquistare le quote al prezzo nominale in caso di uscita anticipata.
  • LOCK-UP: “I Soci si impegnano irrevocabilmente a non vendere, trasferire, cedere, alienare, donare o gravare con diritti reali di garanzia le proprie Partecipazioni Sociali, in tutto o in parte, per un periodo di trentasei (36) mesi a decorrere dalla data di efficacia del presente Contratto. Eventuali atti compiuti in violazione della presente clausola saranno considerati nulli e inefficaci nei confronti delle Parti del Patto”. In tal modo viene garantito un vincolo di incedibilità e stabilità della compagine sociale per un periodo predeterminato.
  • DRAG-ALONG: “Qualora la maggioranza qualificata dei Soci riceva un’offerta vincolante per l’acquisto della totalità delle partecipazioni sociali, tale maggioranza avrà il diritto di esigere che i restanti Soci (Soci Trascinati) trasferiscano anch'essi le proprie partecipazioni al Terzo offerente, alle identiche condizioni e termini applicati alla maggioranza”. Viene imposto un obbligo di vendita alla minoranza da parte del gruppo di controllo, al fine di garantire l'alienazione del 100% del capitale a parità di condizioni.
  • TAG-ALONG: “Qualora un Socio di maggioranza intenda trasferire a un Terzo acquirente una partecipazione che, da sola o con altre, superi la soglia del 50% del Capitale Sociale, dovrà notificare l'offerta agli altri Soci. I Soci di Minoranza avranno il diritto di richiedere che il Terzo acquirente acquisti le loro partecipazioni, fino a concorrenza della loro quota, alle stesse condizioni economiche pattuite per il Socio cedente”. Viene garantito un diritto di co-vendita a favore della minoranza, che può così disinvestire alle medesime condizioni della maggioranza in caso di cambio di controllo della Società.
  • GOOD LEAVER: “Il Socio….. sarà considerato un Good Leaver se nel futuro lascerà la società per motivi considerati legittimi, neutrali o non imputabili ad una sua cattiva condotta o negligenza (a titolo esemplificativo e non esaustivo: grave disabilità/malattia, pensionamento, risoluzione del rapporto senza giusta causa, licenziamento per motivi oggettivi o scadenza del mandato non rinnovato). In tal caso, egli avrà diritto a mantenere le quote già maturate fino alla data di cessazione e potrà cederle ad un prezzo equo corrispondente al loro valore di mercato (Fair Market Value)”. Viene così garantito un riconoscimento al Leaver del valore economico pieno delle partecipazioni già maturate, in assenza di colpa grave o recesso volontario.
  • BAD LEAVER: “Il Socio….. sarà considerato un Bad Leaver se nel futuro lascerà la società per motivi considerati svantaggiosi, dannosi o contrari agli accordi presi con l'azienda o gli altri soci (a titolo esemplificativo e non esaustivo: frode, negligenza grave, violazione di doveri fiduciari, dimissioni volontarie prima di un periodo di lock up concordato, violazione di un patto di non concorrenza). In tal caso, egli sarà obbligato a cedere alla Società e/o agli altri soci le proprie partecipazioni Il prezzo di riacquisto sarà pari al Valore Nominale o a un prezzo notevolmente ridotto a titolo di penale”. Viene così sancita una penalizzazione economica del Leaver mediante riacquisto delle partecipazioni a un valore minimo o nullo, in conseguenza di un comportamento negligente o lesivo degli interessi societari.
  • NON CONCORRENZA: “Il Socio…. si impegna a non svolgere, direttamente o indirettamente, in proprio o per conto di terzi, attività di qualunque natura in concorrenza con quella esercitata dalla Società successivamente alla risoluzione del presente rapporto. Tale divieto è circoscritto alle seguenti attività…..ed è valido per un periodo di…… successivi alla data di cessazione del rapporto. Il divieto si estende al territorio di…..A fronte dell'assunzione del presente obbligo post-contrattuale, viene corrisposto un corrispettivo mensile pari al 30% della sua ultima retribuzione lorda fissa, da erogarsi per tutta la durata del divieto a decorrere dalla data di risoluzione del rapporto”. In questo modo, viene sancita una limitazione legale dell'attività lavorativa o professionale successiva alla cessazione, limitata nell'oggetto, nel tempo e nel territorio e a fronte di un compenso specifico non meramente simbolico ai sensi dell'Art. 2125 c.c. L'obbligo di non concorrenza durante il rapporto è già previsto ex lege e gratuitamente dall'Art. 2105 C.C.

L'esperto

Cosa succede alla mia quota se vengo classificato come Bad Leaver?

Se vieni classificato come Bad Leaver, di solito perché hai rotto il contratto o sei stato licenziato per colpa grave, la società ha il diritto di riacquistare la tua quota, anche quella che hai già maturato con il vesting. La parte cruciale è il prezzo: non ti pagano il valore di mercato della quota, ma solo un prezzo molto basso, spesso il valore nominale che è simbolico. Questa clausola funziona come una penale per il tuo comportamento scorretto, proteggendo la società e gli altri soci.

A cosa serve il Vesting in un contratto di Work for Equity e perché è importante?

Il Vesting serve a vincolare il professionista alla società nel tempo. Se la società ti dà subito tutte le quote per il tuo lavoro, e tu te ne vai dopo un mese, la società ci ha rimesso. 

Perché devo pagare il sovrapprezzo?

Il sovrapprezzo serve a proteggere i soci che erano lì prima di te. Se la startup vale già 1 milione di euro e tu entri con la tua quota pagandola solo al valore nominale, stai di fatto prendendo una parte di quel valore di 1 milione che non hai creato tu. Il sovrapprezzo è quella parte del tuo compenso che serve a coprire la differenza tra il valore reale della società (il market value) e il valore contabile della quota. In questo modo, il tuo ingresso non impoverisce gli altri soci e il valore è equo per tutti.

 

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