15 giugno 2012

Amianto. Ok al risarcimento per omessa prevenzione

Gli eredi del lavoratore deceduto per esposizione all’amianto hanno diritto al risarcimento se il datore omette l’adozione di idonee misure preventive
Autore: Redazione Fiscal Focus

Premessa – L’impresa che non ha adottato le precauzioni idonee a ridurre i rischi derivanti dall’esposizione all’amianto è obbligata a risarcire gli eredi del lavoratore deceduto. A deciderlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8655 del 30 maggio 2012, sottolineando come"la responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 c.c., pur non essendo di carattere oggettivo, deve ritenersi volta a sanzionare l'omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto del concreto tipo di lavorazione e del connesso rischio". Pertanto, il datore di lavoro sarà sempre tenuto a corrispondere il risarcimento del danno al lavoratore, in caso di mancato rispetto delle norme relative alle precauzioni in presenza di amianto.

La vicenda – La vicenda riguarda un lavoratore deceduto per una forma di mesotelioma particolarmente aggressiva, insorta, fra le varie cause, anche a seguito di sovraesposizione ad amianto.Gli eredi, ritenendo che il decesso era ascrivibile a responsabilità del datore di lavoro che non aveva rispettato le prescrizioni generali di cui all'art. 2087 c.c. e quelle specifiche poste dalla legislazione speciale, avevano chiesto il risarcimento jurehereditatis del danno biologico e morale sofferto in vita dal de cuius. In effetti il datore di lavoro, secondo quanto era emerso nel giudizio di merito, aveva omesso di adottare leregole generali di prevenzione che riguardano in assoluto ogni attività che abbia a che fare col rischio-polveri, nonostante sia notala pericolosità dell’amianto e il suo nesso di causalità con l’insorgenza di malattie come il mesotelioma.

La sentenza– I giudici della Suprema Corte, dunque, respingendo il ricorso della datrice di lavoro, si pongono sostanzialmente in linea con la sentenza della Corte d’Appello dove i giudici avevano precisato che "una volta assodato che fin dagli inizi del 1900 vi era la consapevolezza della dannosità per la salute umana dell'amianto e la sua correlazione con le patologie tumorali non può ritenersi immune da responsabilità il datore di lavoro che non appronti tutte le cautele in chiave preventiva conosciute all'epoca di riferimento per il solo fatto che la patologia specifica (mesotelioma) non era stata ancora compiutamente correlata all'amianto perché, comunque, era conosciuta la pericolosità di detta sostanza indipendentemente dalla patologia che ne è derivata”. In particolare, nel caso di specie viene accertato che l'ambiente di lavoro in cui il lavoratore aveva svolto la propria attività non aveva i caratteri della salubrità necessari per garantire una piena tutela della salute e non risultava rispettata da parte datoriale la normativa esistente all'epoca in termini di prevenzione rispetto alla patologia che aveva determinato la morte del lavoratore, con conseguente responsabilità della società anche se tali misure preventive avrebbero potuto solo ridurre il rischio di contrarre la patologia rivelatasi letale. Per questi motivi, i giudici hanno condannato l’impresa a risarcire gli eredi dell’operaio nella misura di 4.500 euro al mese per ogni mese di sofferenza del decuius, cifra che consente di compensare la particolare afflittività della patologia e la consapevolezza, da parte del malato, di quale ne sarebbe stato l’esito.

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