11 aprile 2012

Braccio di ferro sulle finte partite IVA

Oggi pomeriggio s’incontrerà il mondo dell’imprenditoria al fine di richiedere a gran voce alcune modifiche al D.d.l. della riforma sul lavoro
Autore: Redazione Fiscal Focus

Premessa – Continua il lungo tira e molla fra il Governo e il mondo delle imprese sullo scomodo argomento delle finte partite IVA. Infatti, in attesa che venga definito l’iter di esame del D.d.l. sulla riforma del lavoro, lo schieramento delle imprese (imprese, Confindustria, Abi, Alleanza e Rete Imprese Italia) s’incontrerà oggi pomeriggio per trovare una posizione comune su alcune modifiche che intendono apportare al testo. Dunque, riforma inaccettabile per il mondo imprenditoriale, il quale accusa il Governo di aver peggiorato di parecchio le condizioni di competitività delle aziende, rendendo di conseguenza più difficili le assunzioni ed i rinnovi dei contratti flessibili. In particolare, sulla questione delle finte partite IVA l’imprenditoria ritiene che le presunzioni sugli abusi andrebbero utilizzate per fare i controlli e poi punire le situazioni false, non per determinare “automaticamente” un rapporto di lavoro subordinato (co.co.co. e co.co.pro.).

Le finte partite IVA - In sostanza, l’intenzione del Governo è quello di regolarizzare tutti quei lavoratori che si sono visti invogliare dai propri datori di lavoro ad aprire una partita IVA, appunto “finta”, al sol fine di camuffare la normativa sul lavoro dipendente e le conseguenze, ovviamente più onerose, che derivano dalla stipula del contratto stesso. Argomento più volte ripreso e modificato, come da ultimo disciplinato dall’art. 9 della bozza del D.d.l. Infatti, rispetto a prima, il limite di tempo massimo consentito dopo il quale scatta automaticamente il contratto subordinato è stato allungato fino a 12 mesi per quei rapporti già in essere alla data di entrata in vigore della riforma; mentre per quelli instaurati dopo l’entrata in vigore del D.d.l. dovrà essere rispettato il termine dei sei mesi. Altra modifica importante è stata prevista anche nell’attività di verifica dei tre indici presuntivi che possono essere utilizzati anche “disgiuntamente” per capire se il dipendente è stato oggetto di abuso o meno. E cioè: che la collaborazione “fittizia” duri almeno sei mesi nell’arco di un anno; che da questo rapporto il collaboratore ricavi più del 75% dei corrispettivi, anche se sono fatturati a più soggetti riconducibili alla stessa attività imprenditoriale; infine che la collaborazione comporti la fruizione di una “postazione di lavoro presso una delle sedi del committente”. Ora, invece, la bozza del D.d.l. chiede la presenza di almeno due dei requisiti appena descritti per far scattare la sanzione, che prevede la stabilizzazione del collaboratore nel caso in cui l’uso della partita IVA sia fittizio perché nasconde in realtà un rapporto di co.co.co. Sul versante contributivo invece, occorre sottolineare che i collaboratori, tenuti all’iscrizione della Gestione separata dell’INPS, devono versare un terzo dell’intero importo contributivo, mentre la restante parte deve essere corrisposta dal datore di lavoro. Maggiore chiarezza si è fatta anche per quanto riguarda l’inclusione o meno dei professionisti iscritti in un Albo. Infatti, nella relazione presentata lo scorso 23 marzo era sparita, rispetto alle versioni precedenti, la deroga per i professionisti. Ora la bozza del D.d.l. chiarisce che il taglio delle finte partite IVA non tocca i collaboratori degli studi professionali, purché le mansioni svolte dall’iscritto all’Albo siano quelle proprie e caratteristiche della professione esercitata.

I nodi – Oltre al complesso problema della finte partite IVA, il mondo imprenditoriale intende apportare altre importanti modifiche. La prima riguarda la definizione della stagionalità dei contratti a termine, che non andrebbero penalizzati con l’aumento dell’aliquota contributiva; e la durata, con riferimento al primo contratto, di 6 mesi andrebbe allungata. Sulla questione dei licenziamenti invece, oltre alla chiara opposizione alla modifica sul licenziamento economico, dove si prevede il reintegro in caso di “manifesta insussistenza” del fatto, viene contestata anche la questione che, in caso di conciliazione, non sia previsto che il licenziamento abbia effetto dalla comunicazione. E infine, le imprese stanno addirittura studiando se chiedere di prolungare la mobilità e di razionalizzare i fondi che devono garantire la C.I.G. a chi non ce l’ha.

 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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