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Premessa – Costo del lavoro troppo oneroso. È questo in poche parole il messaggio che emerge dalla recente analisi condotta dall’ISTAT, che prevede per il 2013 la crescita del tasso di disoccupazione all’11,4% e la diminuzione del PIL di mezzo punto. La problematica ha nuovamente catturato l’attenzione della Fondazione Studi dei C.d.L. la quale, come più volte affermato in passato, è convinta più che mai che il vero freno dell’economia italiana risiede “nell’eccessivo costo del lavoro”. Per questo motivo la Fondazione Studi ha condotto una breve indagine in merito, illustrata nel comunicato stampa del 6 novembre scorso.
L’indagine – Un aspetto impressionante che affiora dall’indagine della Fondazione Studi è che per garantire un netto di 1.236 euro a un lavoratore, il datore ne deve spendere più del doppio: ossia 2.648,19 euro (il 114,22% in più). Questo ci fa pensare che il Governo deve immediatamente stabilire delle risorse economiche adeguate per adottare strategie che riducano sensibilmente gli oneri per i datori di lavoro; soprattutto in un Paese come il nostro dove le piccole aziende e i lavoratori autonomi sono coloro che sostengono l'occupazione in Italia, anche svolgendo il ruolo di ammortizzatori sociali in mancanza di intervento dello Stato.
Marina Calderone - A conferma di ciò è intervenuta direttamente il presidente del CNO dei Consulenti del Lavoro, Marina Calderone, “gli imprenditori che assistiamo, tra i tanti problemi che li affliggono, lamentano prima di tutto il gravoso onere che ha il costo del lavoro. E questo lo stiamo denunciando da anni perché è da anni che è così. Finalmente c'è ora una presa di posizione pubblica e collettiva. Peccato così in ritardo. Avessero ascoltato i veri tecnici sin da quando è stato sottolineato il problema forse la storia del nostro Paese degli ultimi anni sarebbe stata scritta diversamente".
La soluzione – A questo punto, l’obiettivo è chiaro: ridurre il costo del lavoro. Ma come fare? A tal proposito i C.d.L. avanzano tre possibili soluzioni, ossia: ridurre di 5 punti percentuali il contributo delle aziende; dimezzare il costo IRAP e forfetizzando il prelievo Iperf al 10% almeno fino alla fascia di reddito pari a 26.000 euro. I dipendenti fino a questa fascia sono circa 11 milioni e 700 mila (con esclusione di quelli che rientrano nella no tax area), mentre i redditi prodotti sono circa 213 miliardi di euro, con la conseguenza che l’applicazione di un prelievo forfetario avrebbe un costo per le finanze pubbliche di circa 4 miliardi e 500 milioni di euro. Per controbilanciare i mancati introiti dello Stato, concludono i C.d.L., si potrebbe mettere mano alle tante riforme possibili ma non attuate, ossia: una forte cura dimagrante per i pubblici apparati, la dismissione di patrimonio pubblico e la razionalizzazione di sprechi a cominciare da quanto erogato ai patronati. Dunque, una serie di interventi non concretizzati che se trovassero attuazione renderebbero migliore il bilancio dello Stato e, più indirettamente, più basso il costo del lavoro.