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Premessa – Come noto, a decorrere dal 1° gennaio 2012 (entrata in vigore del D.L. 201/2011) sono salite le aliquote dei contributi previdenziali che dovranno versare i lavoratori autonomi (artigiani, commercianti e coltivatori diretti). A tal proposito, occorre precisare che la manovra Monti impone un bis di sacrificio previdenziale ai lavoratori autonomi, in quanto: da una parte, aumentano progressivamente nel 2018 al 24% le aliquote contributive da versare all’INPS; e dall’altra, come del resto per tutte le altre categorie del lavoro, si allunga il tempo di permanenza nell’attività lavorativa prima di poter perfezionare i requisiti per la pensione. L’incremento sarà graduale. Infatti, nel 2012 l’aliquota-base INPS salirà al 21,3% (aumenta dell’1,3 punti percentuale), mentre dal 2013 al 2018 l’incremento sarà dello 0,45%, assestandosi, a regime nel 2018, al 24%.
I lavoratori autonomi – Anche per i lavoratori autonomi la pensione si allontana. Sul versante dei requisiti per il pensionamento la riforma contenuta nel D.L. 201/2011 avvia la macchina dell’allineamento graduale delle regole riservate ai lavoratori autonomi a quelle che disciplinano l’uscita delle altre categorie. Tuttavia, bisogna fare un distinguo fra lavoratori autonomi e lavoratrici autonome. Per quanto concerne la prima categoria, l’allineamento al rialzo con i dipendenti è completato già a partire dal 2012; dopo tale data, si potrà andare in pensione anticipata con 42 anni e 1 mesi di contributi oppure bisognerà aspettare i 66 anni di età per il pensionamento ordinario (ovvero quello di vecchiaia). Da non trascurare, naturalmente, il meccanismo di adeguamento automatico in relazione alla dinamica della speranza di vita stimata dall’ISTAT, che con la riforma Fornero coinvolge tutti i parametri previdenziali senza alcuna distinzione.
Le lavoratrici autonome – Con riferimento, invece alle lavoratrici autonome, l’evoluzione delle regole risulta un po’ più complessa. Difatti, per loro l’avvicinamento all’età ordinaria di 66 anni, che dal 2018 si applicherà sia a uomini che donne a prescindere dal tipo di lavoro svolto, sarà progressivo. Da considerare anche che le lavoratrici autonome, per un lungo periodo, riceveranno una penalizzazione rispetto agli scalini previsti per le colleghe dipendenti di imprese private (per le lavoratrici del pubblico impiego, i requisiti sono già allineati a quelli degli uomini a partire dal 1° gennaio prossimo).
Le differenze – Illustriamo alcune differenze esistenti fra dipendenti del settore pubblico e lavoratrici autonome. Nel 2012, l’età di vecchiaia per le autonome si attesta a 63 anni e 6 mesi, anziché a 62 anni come per le dipendenti private, nel 2014 si passa a 64 anni e 6 mesi (un anno in più rispetto alle dipendenti), nel 2016 si arriva a 65 anni e 6 mesi (6 mesi in più rispetto alle dipendenti) e dal 2018 ci si attesta a 66 anni, come per tutte le altre categorie. Come si vede, il meccanismo è pensato per ridurre progressivamente la penalizzazione rispetto al settore privato, che all’inizio si allarga ad un 1 anno e mezzo e poi si riduce fino all’allineamento totale dal 2018. La penalizzazione, in generale, interessa chi ha iniziato la propria regolare storia contributiva a 24 anni, perché le donne entrate al lavoro prima possono sfruttare il canale anticipato che porta alla pensione con 41 anni e 3 mesi di versamenti.