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C’e’ chi dice no

Autore: Ester Annetta
Erano millecinquecento - forse anche duemila, secondo alcune fonti – ma comunque in numero notevolmente inferiore rispetto alle omologhe discese in piazza promosse in altre città d’Europa: segno, forse, che il primato della spavalderia non ci compete, per fortuna!

Non avevano bandiere di partito, ma solo il tricolore accompagnato dallo slogan “Noi siamo il popolo”, quasi a voler con ciò rivendicare un’identità che ritengono sia stata minata da norme emergenziali, da interventi governativi d’altrettanta emergenza e da quella che – con locuzione suggestiva – è stata definita “la dittatura sanitaria”.

Niente mascherine, niente distanze di sicurezza: un assembramento in piena regola, benché in parte tradito da qualche partecipante un po’ più attempato che, in barba all’etichetta stessa della manifestazione – “no mask” – ha candidamente (e saggiamente) dichiarato che un conto è condividere le idee un altro rischiare di ammalarsi.

E così i negazionisti del Covid-19 hanno ottenuto di poter levare i loro cori e scandire i loro ritornelli nella capitale, in una piazza inconsueta, solitamente non deputata ad accogliere manifestazioni, dove, mischiati a gilet arancioni, leghisti, qualche esponente dei centri sociali, rappresentanti di altri movimenti “no-qualcosa” e da “Il Popolo delle Mamme” (sfilanti al grido di “giù le mani dai bambini”, ma forse più perché preoccupate dal timore di dover restare ancora per qualche mese con i loro figli imprigionati in casa che non mosse dalla sincera convinzione che debbano tornare a scuola), si sono esibiti in una serie di opinabili e non sempre chiaramente intelligibili performance, che hanno spaziato dall’inneggiare al presidente americano Donald Trump o a quello russo Vladimir Putin al fuoco appiccato all’immagine di papa Francesco e a quella di Grillo.

Pare persino che un tragicomico e paradossale siparietto ci sia stato allorché, in un contesto in cui il tema portante doveva essere negare la medicina e la scienza, i comizi sono stati interrotti per domandare se ci fosse un medico presente che potesse soccorrere un manifestante che si era sentito male!

Si fa presto a dire no se il contagio non lo si è vissuto sulla propria pelle (anzi, nei propri polmoni); se l’impietosa falce non è passata su nessun membro più o meno prossimo della propria famiglia; se la bella stagione ha consentito di beneficiare di un indebolimento della carica virale del coronavirus o della maggiore possibilità che, all’aperto, le temutissime goccioline di umori infettivi si disperdessero prima di far attecchire il noioso passeggero su altri organismi, così da far acquisire una sicurezza che si confonde con una pretenziosa immunità.

L’autunno è alle porte e, con esso, il ritorno del freddo che costringerà a restare confinati in ambienti chiusi, a condividere spazi a rischio dove il virus potrebbe tornare ad essere invasivo e forte come prima: le scuole, certo, ma anche più semplicemente i ristoranti ed i ritrovi per l’aperitivo.

È vero, forse adesso siamo più preparati ad affrontare il contagio, ma non tanto perché realmente il virus sia meno potente quanto, piuttosto, perché la paura ci ha insegnato che nessun sintomo va trascurato e che intervenire tempestivamente è la maniera più sicura per affrontare e sconfiggere in tempo l’infezione, prima che arrivi alle sue estreme conseguenze. Chi il virus non lo nega e lo teme, pur riconoscendo che qualche errore di intervento (comprensibile, del resto, poiché si trattava pur sempre di un nemico sconosciuto) inizialmente ci sia stato, ha imparato la prudenza e l’importanza della prevenzione.

Quando l’altro giorno ho chiesto a mio figlio, poco più che ventenne, cosa ne pensasse dei negazionisti scesi in piazza, la sua risposta, immediata e decisa, è stata: “che sono i primi che si ammaleranno!”.

Non so se suoni più come un anatema o una premonizione, ma, in ogni caso, i “no mask” farebbero davvero meglio a stare attenti.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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