13 giugno 2022

Come il digitale cambierà il lavoro

Autore: Rachele Pozzato
Il digitale ha ormai investito qualsiasi aspetto del vivere quotidiano e ha ridisegnato il mondo e la dimensione del lavoro. Anzitutto ridefinendo il ruolo della formazione continua, come si è sostenuto alla tavola rotonda su l’ “Economia digitale e le conseguenze sul mercato del lavoro“ con il presidente di Luiss business school Luigi Abete, il coordinatore di Base Italia, Marco Bentivogli, l’Hr and organization director di Capgemini Italia, Michelangelo Ceresani, il professor Marco Magnani dell’istituto affari internazionali della Luiss, la responsabile dell’ufficio 4.0 della Cgil Cinzia Maiolini, la presidente della cooperativa Gemos Mirella Paglierani e il presidente del Casl dell’Abi Salvatore Poloni.

Da esigenza delle imprese, infatti, la formazione continua è diventata esigenza del lavoratore, rientrando nell’offerta più che nella domanda: un lavoratore competitivo nel panorama delle proposte deve potersi aggiornare sui nuovi strumenti e sulle nuove modalità. La formazione diventa così fondamentale e imprescindibile per superare le sfide del mondo del lavoro, in un’ottica tutta digitale, la stessa che ha spinto la Luiss business school a trasformarsi da dipartimento a Spa: un’offerta formativa pensata alla luce delle nuove richieste di mercato, senza perdere di vista la qualità dei servizi erogati.

E per quanti temono una tecnologia iper-pervasiva, ricordando, per esempio, il caso dei software usati dagli americani per articoli su meteo, finanza e sport, arriva Capgemini a rassicurare: in Italia entro la fine del 2022 saranno assunti in più di 3000 tra consulenti gestionali e IT, ingegneri o esperti digitali. Questo perché nuovi strumenti richiedono nuove competenze, e le aziende stesse, per rimanere al passo con i tempi, hanno bisogno di investire nelle nuove risorse digitali. Senza mettere a rischio le professioni intellettuali, solo rivisitandole alla luce di nuove esigenze non solo del mondo del lavoro, ma della società tutta.

È sempre la tecnologia poi a lasciare traccia anche in tema di smart-working. La pandemia ha evidentemente impattato non solo su fattori sociali, psicologici o culturali ma anche, e soprattutto, su economia e mondo del lavoro, lasciandoci come più grande e “invadente” lascito il lavoro da remoto. Un tema caldo, se non spinoso, per molti imprenditori e leader a livello internazionale. Lo stesso Elon Musk, per citarne uno su tutti, ha invitato i manager Tesla a tornare in presenza. E con lui conviene lo stesso Abete, che sottolinea quanto la modalità non possa essere universalmente valida: rimangono alcuni ruoli che continuano ad aver bisogno di essere svolti in presenza. In Italia, nel frattempo, fino al 31 agosto, il decreto Riaperture prolunga lo smart-working con misure semplificate, lasciando cioè l’impresa libera di valutare quando ricorrere al lavoro agile, regolamentato da un apposito protocollo che affida la gestione dello strumento alle parti sociali. Secondo il Ministero del Lavoro, però, saranno più di quattro gli italiani che continueranno a lavorare da casa, vista anche la recente tendenza di molte aziende, con accordi tesi a disciplinare modalità “miste” di lavoro, in parte svolte in smart-working, in parte riportate in sede, in presenza.
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