7 dicembre 2019

Compenso dimezzato se la causa non è difficile

Autore: Ester Annetta

Con l'ordinanza n. 29212/2019 dello scorso 12 novembre, la Cassazione ha ribadito un principio che, negli ultimi tempi, in giurisprudenza si è ormai consolidato: secondo la Suprema Corte, ove le parti non si siano altrimenti accordate, il giudice può determinare il compenso del professionista, nel rispetto delle tariffe; se il criterio di determinazione del compenso è adeguatamente motivato, la decisione così stabilita è insindacabile in sede di legittimità.

Nella specie, il giudizio ha riguardato un ricorso presentato avverso la pronuncia della Corte d’Appello di Messina da un avvocato che contestava la legittimità dell’ordinanza con la quale la medesima aveva condannato un suo cliente al pagamento di un compenso per l’assistenza prestatagli in un giudizio riguardante un rapporto di lavoro subordinato, riconoscendo che, benché fosse stato determinato nel rispetto del tariffario in vigore, doveva essere ridotto a metà a causa della non particolare complessità della causa (poiché relativa a questioni comuni ad una pluralità di giudizi dello stesso tipo proposti dal medesimo professionista in favore di altri lavoratori dello stesso comparto del predetto cliente).

L’avvocato soccombente ha perciò impugnato la pronuncia con ricorso straordinario per Cassazione ai sensi dell'art. 111 della Costituzione, lamentando in particolare l'erroneità della decisione della Corte d’Appello nella parte in cui aveva ridotto gli onorari, in considerazione del fatto che nessuna richiesta specifica in tale senso vi fosse stata da parte del proprio cliente, il quale non aveva neppure contestato l’importo richiestogli.

Secondo il legale ricorrente, la riduzione del compenso nella misura del 50%, inoltre, sarebbe stata lesiva del principio di adeguatezza e non avrebbe tenuto conto dell'importanza dell'opera svolta, risultando dunque altresì lesiva del decoro della professione.

La Cassazione, come anticipato, con l’ordinanza di cui sopra ha rigettato il ricorso del legale, rilevando in particolare l’infondatezza del motivo testé indicato, partendo dall’art. 2233 C.C. che espressamente dispone che il compenso dovuto per le prestazioni d’opera intellettuale, “se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice”. In base a tale norma, la Corte ha rilevato che "è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che l'art. 2233 c.c., nella parte in cui dispone che, in mancanza di accordo tra le parti, il compenso è determinato dal giudice in base alle tariffe, attribuisce un potere discrezionale al giudice che, se congruamente motivato ed esercitato in conformità alle tariffe professionali, è insindacabile in cassazione ... il potere discrezionale può esplicarsi anche nell'aumento o nella riduzione dei compensi, e ciò a prescindere dall'istanza del professionista o, correlativamente, dalla richiesta del cliente … l'unico limite è che, nei rapporti tra professionista e cliente, il giudice non può liquidare gli onorari al di sotto dei minimi tariffari, circostanza quest'ultima che la parte ricorrente non ha mai allegato né, tantomeno, provato ...".

Per la Cassazione, quindi, non c'è stata alcuna violazione dei principi di adeguatezza del compenso considerato in relazione all'importanza dell'opera e al decoro della professione (ai sensi del secondo comma del predetto art. 2233 c.c.), poiché nella specie, benché siano stati ridotti, i compensi liquidati sono rimasti comunque superiori ai minimi tariffari.

Restando in tema – e più in generale - un accenno merita quanto lo stesso Consiglio Nazionale Forense con la propria sentenza n. 9/2018 ha stabilito a proposito delle modalità di determinazione del compenso professionale.

Chiamato a pronunciarsi sulla misura della parcella di un avvocato, ritenuta eccessiva dai clienti che, pertanto, avevano presentato un esposto al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Trieste, il CNF nella citata pronuncia ha enunciato i principi da rispettare per esprimere tale valutazione: non si deve solo tenere conto della tariffa vigente nel momento in cui il compenso viene calcolato, ma anche dell'attività svolta e della misura del compenso ritenuta equa. Solo dopo questa quantificazione è possibile procedere al successivo giudizio di comparazione, al termine del quale il compenso può essere ritenuto giusto o eccessivo.

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