1 giugno 2020

Covid-19: responsabilità penale del datore di lavoro

Autore: Ester Annetta

L’emergenza epidemiologica innescata dal dilagare del contagio del virus Covid-19 ha pesantemente impattato su tutte le attività del tessuto economico-produttivo nazionale anche nella c.d. fase della ripartenza, imponendo una serie di misure la cui osservanza viene richiesta come presupposto per il loro stesso riavvio.

In particolare sono state disposte norme e protocolli per i luoghi di lavoro, che vanno a sommarsi a quelli già previsti dal Testo Unico per la Sicurezza nei luoghi di lavoro (D.Lgs. 81/2008) e che stabiliscono pesanti responsabilità – anche penali - a carico degli imprenditori/datori di lavoro per le conseguenze dipendenti dalla loro inosservanza.

Come noto, in base al summenzionato TU il datore di lavoro è garante della sicurezza in azienda e per questo è soggetto ad obblighi - esclusivi o eventualmente delegabili- :

  • obbligo esclusivo è quello di designare il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (R.S.P.P.) e di predisporre la valutazione dei rischi elaborando il Documento di Valutazione dei Rischi (D.V.R.);
  • obbligo delegabile è quello di far osservare le disposizioni previste dagli artt. 18-55 del D.Lgs. 81/2008 (es. nomina del medico competente per la sorveglianza sanitaria, programmazione delle misure di prevenzione, fornitura dei necessari e idonei dispositivi di protezione individuale ecc.).

A partire dal 3 febbraio 2020, con l'emanazione della Circolare n. 3190 del Ministero della Salute, i datori di lavoro sono ora tenuti anche ad osservare e attuare le prescrizioni igieniche di base per la prevenzione del contagio da Covid-19. Inoltre, secondo quanto previsto dal Protocollo sottoscritto dal Governo e da Confindustria lo scorso 14 marzo, deve disporsi – ove sia possibile - la riduzione dell'attività lavorativa in azienda, consentendo lo smart working ai lavoratori o il ricorso agli ammortizzatori sociali, fermo restando l’obbligo di sanificazione periodica dei locali aziendali e l'adozione di specifici dispositivi di protezione individuale.

In ottemperanza a tali ultime disposizioni il datore di lavoro dovrà perciò provvedere ad aggiornare il DVR onde tutelarsi in caso sorgano controversie di natura penale legate al contagio da Covid-19.

Difatti, qualora fosse rilevato un caso di infezione, il datore di lavoro si trova esposto – e può quindi essere indagato su querela di parte – per due ipotesi di reato: lesioni personali colpose (art. 590 c.p.) e, nei casi di maggior gravità, omicidio colposo (art. 589 c.p.). In sede penale andrà pertanto accertata la sussistenza della sua colpa (generica, se causata da imprudenza o imperizia; specifica, se determinata dall'inosservanza di leggi, regolamenti, ordini) in relazione alle condotte di prevenzione adottate.

Va poi ricordata un’altra ipotesi di responsabilità che, ai sensi del D.Lgs. 231/2001, fa capo agli enti (e quindi a società titolari di aziende) per i reati commessi dai soggetti che li rappresentano (c.d. apicali) in vantaggio o nell'interesse degli enti medesimi. In tali casi la norma dispone la comminazione di sanzioni di natura interdittiva.

Tra i reati annoverati che danno luogo a tale tipo di responsabilità ed alle conseguenti sanzioni sono compresi anche le lesioni colpose e l'omicidio colposo legati all'inosservanza delle norme in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, e quindi ora anche il contagio da Covid-19.L'azienda, per evitare di incorrere nelle suesposte conseguenze, deve dunque essere in grado di poter dimostrare in sede di eventuale giudizio di:

  • aver adottato e attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire fattispecie di reato del tipo di quello eventualmente verificatosi;
  • aver garantito la vigilanza sul funzionamento e l'osservanza dei suddetti modelli da parte di un organismo autonomo dell'ente preposto a tali funzioni.

Quanto sin qui esposto serve peraltro come base per meglio comprendere – come del resto ha già espressamente chiarito dall’INAL con una comunicazione apparsa sul proprio portale - l’assenza di connessione tra il riconoscimento del contagio COVID-19 come “infortunio sul lavoro” e la responsabilità del datore di lavoro.

Il decreto-legge Cura Italia (convertito dalla legge 27/2020) ha previsto l'equiparazione tra infortunio sul lavoro e contagio da Covid-19, come tale meritevole di ricevere la copertura assicurativa INAIL. In particolare la disposizione (che si applica sia ai datori di lavoro pubblici che privati) precisa che, nei casi accertati di infezione da Coronavirus in occasione di lavoro, il medico accertatore debba redigere il consueto certificato di infortunio e inviarlo telematicamente all'INAIL che assicura la relativa tutela dell'infortunato.

L’INAIL stesso, nella Circolare n. 13 del 3 aprile 2020, ha poi chiarito che, sotto il profilo assicurativo, nella categoria degli infortuni sul lavoro la causa virulenta (e, quindi, il contagio da malattie infettive, ivi compreso dunque il Covid-19) viene equiparata a quella violenta.

Tuttavia, per fugare il dubbio - da più parti manifestato – che, a seguito dell’equiparazione tra infortunio sul lavoro e contagio da Covid-19 (perciò meritevole di ricevere la copertura assicurativa INAIL), il datore di lavoro, anche qualora abbia adempiuto alle prescrizioni di norme e regolamenti, possa venire coinvolto sul piano penale per i reati di lesioni oppure omicidio colposo, l’INAIL ha fornito il chiarimento cui si accennava. Ha infatti rammentato che "i criteri applicati dall'INAIL per l'erogazione delle prestazioni assicurative ai lavoratori che hanno contratto il virus sono totalmente diversi da quelli previsti in sede penale e civile, dove è sempre necessario dimostrare il dolo o la colpa per il mancato rispetto delle norme a tutela della salute e della sicurezza".

Non vanno perciò confusi i criteri applicati dall'INAIL per il riconoscimento di un indennizzo a un lavoratore infortunato con quelli, totalmente diversi, che valgono in sede penale e civile.

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