3 dicembre 2022

Di giustizia e di coerenza

Autore: Ester Annetta
Ci sono volute diverse ore di camera di consiglio – quasi una giornata - affinché i quindici giudici della Corte Costituzionale giungessero ad una decisione. Ma alla fine il verdetto è arrivato ed è stato unitario.

Finisce così, con una conferma di legittimità costituzionale, la lunga querelle sorta sull’obbligo vaccinale a seguito delle istanze presentate dai tribunali di Brescia, Catania e Padova, dal Tar della Lombardia e dal Consiglio di giustizia amministrativa della regione Sicilia, che a vario titolo avevano contestato il D.L. 1° aprile 2021 n. 44 (recante “Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2” convertito, con modifiche, dalla L. 28 maggio 2021, n. 76) e quello del 24 marzo 2022 n. 24 (recante “Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell'epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza”, convertito con modificazioni dalla L. 19 maggio 2022, n. 52), che avevano istituito l'obbligo di vaccinazione per alcune categorie di lavoratori, pena la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione fino al 31 dicembre 2022 (data anticipata al 1° novembre scorso con il D.L. 31 ottobre 2022, n.162, non ancora convertito).

Come si ricorderà, l’obbligo vaccinale ha riguardato in primis il personale della sanità (per ovvie ragioni, trattandosi della categoria più direttamente coinvolta nelle prime fasi dell’emergenza pandemica) per poi estendersi – a dicembre 2021 - al personale scolastico, a quello della difesa e della sicurezza, del soccorso pubblico, della polizia locale e al personale penitenziario. Successivamente, a gennaio 2022 con l’insediamento del governo Draghi, era stato esteso anche al personale universitario, senza limiti di età, e a tutte le persone con più di 50 anni, pena una sanzione di 100 euro; misura ulteriormente rafforzata poche settimane dopo con l’introduzione dell’ obbligo per tutti i lavoratori e le lavoratrici over 50 di presentare il green pass rafforzato sul luogo di lavoro, pena la sospensione del proprio incarico e dello stipendio e sanzioni dai 600 ai 1.500 euro.

Sostanzialmente erano tre i temi su cui si fondavano i motivi di illegittimità delle istanze esaminate dalla Consulta: la mancata previsione, per i non vaccinati, della possibilità di essere impiegati in mansioni che non prevedessero il contatto con il pubblico, così da poter mantenere la retribuzione, altrimenti sospesa; l’obbligo vaccinale disposto anche a carico di chi svolgeva il proprio lavoro a distanza, e dunque senza alcun rischio di contagio; l’imposizione della somministrazione delle dosi senza la garanzia che il vaccino non provocasse effetti collaterali anche gravi.

Va ricordato che già in passato la Corte costituzionale si era espressa a favore degli obblighi vaccinali evidenziando come – in perfetta aderenza al dettato costituzionale che contempera il diritto dell’individuo e l’interesse della collettività (Art. 32 co.1 Cost.) – il diritto di autodeterminazione del singolo cittadino debba subire una limitazione ove si trovi in contrasto con la salvaguardia del benessere della comunità nel suo complesso. Alla luce di ciò, l’efficacia dei vaccini andava considerata non tanto in relazione alla loro capacità di contrastare il virus quanto a quella di limitarne la diffusione.

In linea con tale posizione, i giudici della Consulta – come si legge in un comunicato diramato lo scorso 1° dicembre, contestualmente alle pronunce, in attesa del deposito delle sentenze – hanno “ritenuto inammissibile, per ragioni processuali, la questione relativa alla impossibilità, per gli esercenti le professioni sanitarie che non abbiano adempiuto all’obbligo vaccinale, di svolgere l’attività lavorativa, quando non implichi contatti interpersonali.

Sono state ritenute invece non irragionevoli, né sproporzionate, le scelte del legislatore adottate in periodo pandemico sull’obbligo vaccinale del personale sanitario.

Ugualmente non fondate, infine, sono state ritenute le questioni proposte con riferimento alla previsione che esclude, in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale e per il tempo della sospensione, la corresponsione di un assegno a carico del datore di lavoro per chi sia stato sospeso; e ciò, sia per il personale sanitario, sia per il personale scolastico.”

A tanto consegue, dunque, che scaduti ormai i 180 giorni previsti dai menzionati decreti per giustificare il mancato adempimento dell’obbligo vaccinale, scattano ora le sanzioni, che si calcola sfioreranno i due milioni di euro.

Esultano chiaramente i vari virologi ed esperti che durante le fasi più critiche della pandemia si sono battuti per sensibilizzare la popolazione sulla necessità di una vaccinazione diffusa, in ragione della priorità che va riconosciuta alla scienza in casi di emergenza. Protestano invece nuovamente i no-vax, brandendo ancora una volta l’arma della libertà di autodeterminazione.

Era inevitabile.

Su tutto va però riconosciuto a quanto deciso dalla Corte Costituzionale (ma anche in un’ottica più ampia) il merito di una coerenza che mai come in questo frangente si rendeva necessaria. Riconoscere l’illegittimità dei provvedimenti adottati in tempo di pandemia e abbonare le multe a chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale sarebbe equivalso a legittimare un dissenso sostenuto a discapito del senso di responsabilità verso la collettività; una sorta di “contraddizione in termini” che, condonando la condotta contraria ad un obbligo, avrebbe finito per legittimarne la violazione.
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