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Il signore del caos

Autore: Ester Annetta
Il suo rientro in facoltà presso l’Università La Sapienza di Roma all’indomani dell’assegnazione del Premio Nobel per la Fisica è stato accolto con applausi e cori da stadio; studenti, colleghi professori e giornalisti l’hanno letteralmente assediato, formando attorno a lui un capannello confuso e disordinato di mani, fogli svolazzanti e mascherine.

Qualcuno, aprendosi un piccolo varco in quel miscuglio assembrato di gente, è riuscito anche a scattarsi un selfie accanto al suo viso sorridente; un altro, un po’ più ardito, gli ha persino domandato se potesse apporre un autografo sugli appunti presi durante una delle sue lezioni. E lui l’ha fatto.

Con quel suo sguardo che sembra vedere senza guardare, sempre proiettato ben oltre la barriera del visibile, i suoi vestiti comodi e spesso sgraziati, mai guarniti di finiture o cravatte, i capelli scompigliati che sembrano seguire l’attrazione alternata di chissà quali misteriose forze, Giorgio Parisi è voluto tornare nell’Ateneo dove ha insegnato per tanti anni, a ricevere il saluto del rettore Antonella Polimeni - che l’ha definito “un gigante sulle cui spalle le generazioni future si siederanno per scrutare l’orizzonte della scienza e fare un passo ulteriore verso la conoscenza” – ma soprattutto per salutare i suoi studenti.

Il modo in cui è stato accolto è stata la dimostrazione evidente di come didattica e relazioni umane non siano contrapposte e, anzi, possano convivere, anche quando sullo scanno del sapere e della scienza sieda un gigante.

E lui, difatti, mantenendo la pacatezza e l’umiltà di sempre che - in uno con la morbida sonorità di una consonante blesa ed un senso dello humor raffinato e sottile - riescono a guarnire di leggerezza anche gli argomenti più oscuri e complessi, ha “corretto” l’elogio del rettore affermando con modestia: “devo ricordare che – come disse Newton – se io ho potuto vedere così lontano è perché mi sono arrampicato sulle spalle dei giganti”, sottolineando con ciò di avere un “debito enorme” – come lui stesso l’ha definito – per tutta l’organizzazione dell’istituto di fisica delle Università italiane.

Ben poco si era inizialmente capito della motivazione per cui fosse stato insignito del Nobel: la dicitura «per la sua scoperta dell’interazione tra disordine e fluttuazioni nei sistemi fisici dalla scala atomica a quella planetaria» era apparsa una sorta di incomprensibile gioco di parole.

Quando, poi, è stato rivelato che dietro quella formula oscura si nascondeva il ben più semplice (si fa per dire) concetto che consiste nel “capire in che modo si crea un ordine nei sistemi disordinati” (e ne sarà stato felice chiunque sostiene che nel caos che regna nei propri cassetti o del proprio armadio riesce a trovare sempre tutto!), si è finalmente compreso qualcosa in più.

Uno degli ambiti in cui Parisi ha condotto le sue osservazioni per giungere alla formulazione della sua teoria è stato il volo degli uccelli: dall’osservazione del movimento degli stormi, così imprevedibile ed apparentemente disordinato, ha intuito che c’è, in realtà, un preciso ordine che regola l’andamento di quelle magnifiche e fluttuanti figure che disegnano in cielo quando si avvicina il tempo di migrare.

Il risultato l’ha spiegato così in una intervista rilasciata ad una testata nazionale: «Nello stormo non c’è un capo che comanda gli altri a bacchetta. È l’interazione tra i vari individui che determina la rotta del gruppo. Questo mi ha sempre colpito perché dimostra che i movimenti collettivi siano la sommatoria di tante storie individuali. Abbiamo osservato che quando un certo numero di individui al centro decide di virare, i vicini lo seguono. Se il cambio di rotta coinvolge il 20-30% degli uccelli, tutto lo stormo finisce per seguire. Ma ci sono anche tentativi abortiti di virata. A volte il gruppo non segue gli individui che prendono l’iniziativa. Tutto questo avviene rapidamente, nel giro di pochi secondi, ed è imprevedibile».

Provate a riportare tutto questo alla nostra realtà umana, alle dinamiche cui si assiste in diversi ambiti della nostra società (il riferimento alla politica è scontato) e vedrete quanto le regole del caos intuite dal nostro Nobel siano tutt’altro che relegabili al solo campo degli studi scientifici su sistemi complessi.

La fisica è, si, una scienza ma è anche una metafora meravigliosamente affascinante.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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