12 gennaio 2021

Indagine dell’USTR su web tax italiana

Prima parte

L’USTR (U.S. Trade Representative) ha pubblicato i risultati delle indagini sulle tasse sui servizi digitali adottate da India, Italia e Turchia, concludendo che ciascuna delle DST discrimina le società statunitensi, è in contrasto con i principi generali, anche Ocse, della tassazione internazionale e grava o limita il commercio negli Stati Uniti.

Autore: Giovambattista Palumbo
L’USTR (U.S. Trade Representative), dopo aver già bocciato le misure di tassazione digitale della Francia, ha pubblicato i risultati delle indagini sulle tasse sui servizi digitali (DST – Digital service tax), le cosiddette web tax, adottate da India, Italia e Turchia, concludendo che queste sono discriminatorie nei confronti delle società statunitensi, e in contrasto con i principi generali della tassazione internazionale, come indicati anche nelle numerose Convenzioni contro la doppia imposizione.

Le indagini sulle DST adottate da India, Italia e Turchia sono state avviate nel giugno 2020, insieme alle indagini sulle DST adottate o in esame da Austria, Brasile, Repubblica Ceca, Unione Europea, Indonesia, Spagna e Gran Bretagna.

USTR non ha ancora avviato alcuna azione specifica nei confronti dell’Italia in relazione ai risultati, ma continuerà a valutare tutte le opzioni disponibili.

Si ricorda che se il Trade Representative determina che un atto, una politica o la pratica di un Paese straniero rientra in una qualsiasi delle categorie di condotta perseguibile, deve determinare quale azione intraprendere, se del caso. L'USTR, in relazione all'analoga "bocciatura" della Dst francese, aveva per esempio fissato il 6 gennaio 2021 come scadenza per implementare dazi del 25% su prodotti cosmetici, borse e altri prodotti d'importazione francese, dal valore complessivo di circa 1,3 miliardi di dollari l'anno. Tuttavia, tale misura non è stata ancora in concreto adottata.

Web tax italiana e comunitaria -Nel proprio report, l’USTR afferma che la web tax italiana è chiaramente tratta dalla proposta della Commissione (si preannuncia così anche la bocciatura della proposta comunitaria).
Anche la proposta dell'UE del resto, si dice, sarà sostenuta principalmente da alcune società digitali statunitensi, laddove le soglie sono molto elevate e “calibrate” principalmente proprio sulle aziende statunitensi.

Spotify (una società svedese), ad esempio, sarebbe una delle pochissime società dell'UE a soddisfare le soglie di ricavo, ma il perimetro oggettivo dell’imposta la esclude dalla definizione di servizi di intermediazione digitale.

DST italiana colpisce quasi esclusivamente società statunitensi e pubblicità digitale - L’indagine ha identificato 27 società statunitensi che potrebbero essere interessate dall'imposta italiana, rispetto a solo tre società italiane che potrebbero essere soggette a tassazione. Non ci sono del resto aziende italiane soggette all'imposta in due su tre delle attività coinvolte.

La DST italiana si applicherebbe in sostanza solo alle grandi imprese digitali e quindi, secondo l’USTR, avrebbe l'effetto di escludere quasi tutte le società nazionali, dando luogo a una discriminazione indiretta basata sulla nazionalità.

Poiché poi la DST italiana si applica selettivamente alla pubblicità digitale e non si applica ad altre forme tradizionali di media e pubblicità, come stampa, televisione, radio o fuori casa, questo aumenterebbe la competitività di tali forme di pubblicità rispetto a quella digitale.

La DST si rivolgerebbe dunque, secondo USTR, in modo discriminatorio, ad un gruppo selezionato di fornitori di servizi digitali (la maggior parte dei quali sono società statunitensi), ma non tasserebbe le società che forniscono servizi uguali o molto simili in settori non digitali.

In tal modo, la DST non risulterebbe coerente con gli ammonimenti, anche OCSE, contro il prendere di mira l'economia digitale con un trattamento fiscale diverso.
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