27 aprile 2020

L’altra resistenza

Autore: Ester Annetta

Il 25 aprile 1945 la guerra non è ancora finita.
Le truppe tedesche continuano ad occupare l’Italia, che nel settentrione è governata dei fascisti della Repubblica Sociale Italiana - quella di Salò - fondata da Mussolini.

Il malcontento, l’inquietudine, serpeggiano in tutta la penisola, dove nel frattempo si è organizzato un movimento di opposizione contro il nazifascismo. È composto da gente comune: contadini, operai, studenti, parroci, persone di ogni tipo.
Si tratta dei partigiani.

La loro è una lotta comune, una resistenza a quello stato di cose: e con quell’espressione non si vuole solo designare una modalità d’azione ma anche - convertendone in maiuscola l’iniziale – imprimere una precisa etichetta.
La loro è La Resistenza.

Lo scopo del movimento è quello di scacciare “l’invasore”, quel nemico contro cui si leva a squarciagola una canzone simbolo.
Bella ciao.

Si nascondono fra i monti, soprattutto sugli Appennini; ognuno ha un suo compito, un nome di battaglia e una propria brigata. Le donne aiutano a mantenere i contatti tra gli uomini delle brigate, portando da una parte all’altra ordini e messaggi, a piedi o in bicicletta.

Da Sud, intanto, le truppe alleate americane ed inglesi hanno iniziato la risalita dello stivale, liberando man mano i territori dall’occupazione delle truppe tedesche. Finché Il 24 aprile, superano il Po.
L’indomani, i soldati tedeschi e quelli della repubblica di Salò cominciano a ritirarsi da Milano e da Torino, che finalmente tornano libere.
Dopo di esse, le truppe nemiche vengono scacciate da altre città, ed entro il 1º maggio tutta l'Italia settentrionale è liberata.

Ma la data simbolo della fine dell’oppressione resta quel 25 aprile: un decreto legislativo luogotenenziale emanato il 22 aprile 1946 da Re Umberto I così dispone:
«A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale».

Questo piccolo ripasso della nostra storia, nel particolare momento che stiamo vivendo - al di là della memoria e del valore politico che riveste - sembra poter assumere anche una valenza simbolica.
Il 25 aprile 2020 pare, infatti, che un’altra guerra sia in corso.

Quest’anno non ci saranno comizi né cortei e, una volta tanto, forse non ci saranno nemmeno polemiche politiche supportate da distanze ideologiche. Ci sarà invece quella sola distanza sociale che – per ossimorico contrasto – tutti ci accomuna.

Potrebbe allora essere questo lo spunto per una riflessione nuova, in cui “liberazione” e “libertà” potranno diventare espressioni compatibili, sfumabili l’una nell’altra, finendo per approdare ad un unico significato.

L’intera Nazione, tutti, per una volta, saremo finalmente schierati dalla stessa parte, sotto un’unica bandiera, e, più che rievocare combattenti, ci sentiremo noi stessi tali. Ma non gli uni contro gli altri.

Saremo i partigiani che avranno contrastato l’invasione di un nemico che non ci avrà combattuto col fragore delle armi e con studiate strategie, ma in silenzio ed in modo assolutamente casuale.

Saremo quella Resistenza che sa più di Resilienza, fiaccati - come ci ritroveremo - dalla lotta, e tuttavia determinati a risollevarci e ricominciare. Con qualche consapevolezza in più. Con qualche valore ritrovato.

Saremo i superstiti che piangeranno i caduti. Ma a loro potremo dedicare la vittoria. La nostra, la loro.

Canteremo ancora “Bella ciao”, ma la canteremo dalle logge fiorite delle nostre case.
E sarà il canto che pervaderà le nostre strade, i nostri quartieri, le nostre città: quelle che vorranno tornare a riempirsi di vita. A ringraziare la vita.

Sarà il saluto di noi tutti alla nostra Italia che risorge.

 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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