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L’augurio

Autore: Ester Annetta
Il primo dell’anno Roma s’è svegliata avvolta nella nebbia.

Poteva dare l’impressione di trattarsi d’una nube di fumo, il residuo dei tanti fuochi e petardi esplosi nella notte, in ogni quartiere, per festeggiare l’arrivo del nuovo anno, a dispetto dell’ordinanza di divieto emanata dal Comune.

Invece era proprio una cappa pesante d’umidità, di quelle che lasciano l’asfalto bagnato come se avesse piovuto.
Sembrava un mattino di quelli del passato lockdown: in giro non c’erano auto né persone, se non quelle costrette – come me – a portare fuori i propri cani, ed il silenzio dominava, assoluto.

Il senso di spossatezza derivato dalla nottata precedente, protrattasi – tra avanzi del cenone da sistemare e stoviglie da lavare - quasi fino all’alba, quando già i pettirossi avevano iniziato a cantare, ha così ceduto il passo ad un senso di languore, un misto d’abbandono e immotivata malinconia.

Dopo il primo giro a passo veloce, trascinata da Frost che, come sempre, tirava come se trainasse una slitta sulla neve, ho abbandonato il perimetro più esterno del parco e mi sono avviata verso quello più interno, inferiore di misura e perciò solitamente trascurato da podisti d’ogni genere se serve tenere il conto d’un maggior numero di chilometri da percorrere.

In quel paesaggio reso quasi surreale dal manto di nebbia, mi sono così imbattuta in qualcosa che non c’era ancora l’ultima volta che ero passata da lì: sotto un grande albero ancora fitto di foglie di un verde cupo, c’era una panchina nuova, di legno chiaro, non ancora scurita dalla pioggia e dal muschio. Sull’assicella superiore delle due costituenti lo schienale, c’era una piccola targa di ottone ancora lucente, su cui erano incisi un nome e due date - Boubacar Sadio Ba 19/10/1961 – 12/05/21 New York - scritte in corsivo inglese, ed una frase, interamente in stampatello maiuscolo, accompagnata dal disegno d’una rosa: “Sweet is your memory, precious is your name, close to my heart you will be forever remain; enjoy your park in peace” (dolce è il tuo ricordo, prezioso è il tuo nome, vicino al mio cuore rimarrai per sempre; goditi il tuo parco in pace).

Per un lungo momento sono rimasta a contemplare quelle parole, come persa nello spazio e nel tempo d’un luogo magico, mentre alcune immagini andavano lentamente componendosi nella mia mente.

Per prima mi è apparsa quella sequenza di “Notting Hill” in cui i due protagonisti del film (interpretati da Hugh Grant e Julia Roberts), nel corso d’una romantica passeggiata che preludeva alla loro storia d’amore, scavalcavano di notte la cancellata di un parco e si ritrovavano davanti ad una panchina su cui leggevano le parole incise: “Per June, che amava questo giardino, da Joseph che le sedeva sempre accanto”. «Certe persone passano la loro vita insieme…», commentava l’attrice.

“Per sempre”, ho pensato a mia volta.

Mi sono così seduta su quella panchina, mentre Frost , come fosse stato a sua volta rapito dallo strano incantesimo della nebbia, si metteva accucciato ai miei piedi.

Ho visto allora Boubacar, un uomo dalla pelle scura, nativo d’un altro continente, che, nella sua non troppo lunga vita, qualche volta doveva essersi rifugiato tra i suoni ed i colori di quel piccolo parco di città, per lasciar correre liberi i suoi pensieri ed il suo cuore, mano nella mano di qualcuno che l’amava.

Ho visto il cielo tingersi del rosso dei tramonti che, nella quiete di quel luogo, doveva aver anche lui osservato tante volte, immaginandoli come metafora del compiersi d’un tempo stabilito, d’una vita, d’un sogno; l’amore ricambiato verso colei “che gli sedeva accanto”, i progetti, le speranze e quel “per sempre” che dovevano essersi promessi; la nostalgia della sua terra lontana, mitigata dall’accoglienza che tuttavia doveva aver trovato nei diversi Paesi, compreso il nostro, dov’era migrato; il volto segnato dalla sofferenza d’una malattia, un’esistenza forse troppo breve che aveva lasciato incompiuti tanti disegni e desideri.

Un senso di quiete e pace mi ha avvolto, mentre me ne stavo sotto la cupola di quel sempreverde, non a caso metafora anch’esso di ogni cosa che resta e continua, di esistenze che permangono oltre il volgere del loro tempo, dei destini e delle stagioni, sorrette dall’amore e dalla memoria.

Col cuore ricolmo d’una diversa sensazione, ancora d’abbandono, ma stavolta mista a letizia, mi sono rincamminata verso casa, uscendo dalla nebbia che, lentamente, stava cominciando a sollevarsi lasciando penetrare raggi di luce.

Mi è sembrato anche quello un segnale, un incoraggiamento, un augurio di nuovo inizio più efficace e sentito di quelli che per convenzione ci si scambia ogni fine d’anno: un invito all’ amore, alla serenità e alla speranza.
Mi piace perciò farvene dono.
Buon anno.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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