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La concessione della cittadinanza italiana ai sensi degli articoli 5 e 9 è subordinata al possesso, da parte dell'interessato, di un'adeguata conoscenza della lingua italiana, non inferiore al livello B1 del Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (QCER)”: recita così l’art. 9 della Legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Legge sulla cittadinanza), come modificata a seguito della ben più nota “Legge Salvini”, la n. 132 del 2018 con cui è stato convertito il Decreto Sicurezza (D.L. n. 113/2018, che reca appunto - tra l’altro - “Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica”).
Gli articoli 5 e 9 citati dalla predetta norma si riferiscono, rispettivamente, alle ipotesi di acquisto della cittadinanza italiana per matrimonio contratto con un cittadino italiano o per naturalizzazione (essendo tuttora rimasta irrisolta l’annosa questione dello ius soli, cioè l'acquisizione della cittadinanza di uno stato per il fatto d’essere nati sul suo territorio, garantita attualmente in Italia soltanto in alcune situazioni particolari, caratterizzate dalla impossibilità per il bambino di avere alcuna cittadinanza a causa di filiazione da parte di genitori apolidi o ignoti, oppure in presenza di norme del Paese di provenienza che impediscono l'acquisizione della cittadinanza dei genitori).
La stessa norma precisa, inoltre, che la dimostrazione della conoscenza della lingua italiana da parte dei richiedenti la cittadinanza – ove essi non abbiano sottoscritto l'accordo di integrazione di cui all'articolo 4-bis del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, o che non siano titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo di cui all'articolo 9 del medesimo testo unico – va resa, all'atto di presentazione dell'istanza, attestando
il possesso di un titolo di studio rilasciato da un istituto di istruzione pubblico o paritario riconosciuto dal Ministero dell'istruzione, dell'università' e della ricerca e dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale o dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ovvero producendo apposita certificazione rilasciata da un ente certificatore riconosciuto dal Ministero dell'istruzione, dell'università' e della ricerca e dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale o dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
Questo è il quadro normativo che fa da cornice alla vicenda che in questi giorni ha posto al centro dell’attenzione le sorti di Luis Suarez, l’uruguaiano bomber del Barcellona corteggiato dalla Juventus, che, in virtù del fatto d’esser maritato ad un’uruguaiana di padre italiano - e, perciò con doppia cittadinanza – ha potuto sostenere presso l’Università per stranieri di Perugia l’esame di lingua italiana livello B1 propedeutico all’ottenimento della cittadinanza e, dunque, del passaporto italiano (una condizione, questa, necessaria al suo ingresso nella Juve, poiché il regolamento delle squadre di calcio di serie A prevede che esse possano tesserare soltanto due giocatori extracomunitari. La Juventus ha già due calciatori stranieri e, pertanto, per diventare bianconero a Suarez servono cittadinanza e passaporto italiano).
Peccato, però, che, da indagini condotte dalla Guardia di Finanza sulla gestione amministrativa poco chiara del predetto ateneo siano pure emerse delle intercettazioni che rivelerebbero inequivocabilmente l’irregolarità dell'esame sostenuto dal calciatore, valutato tra l’altro a tempo di record – mezz’ora circa – per una prova che, tra verifica di abilità linguistica sia parlata che scritta, richiede solitamente non meno di due ore!
La Procura di Perugia guidata da Raffaele Cantone ha diffuso una nota con cui ha riferito che “
gli argomenti oggetto della prova d’esame sono stati preventivamente concordati con il candidato e che il relativo punteggio è stato attribuito prima ancora dello svolgimento della stessa, nonostante sia stata riscontrata, nel corso delle lezioni a distanza svolte dai docenti dell’ Ateneo, una conoscenza elementare della lingua italiana".
Il tragicomico siparietto intercettato sarebbe stato del seguente tenore:
- “…hai una grande responsabilità perché se lo bocciate ci fanno gli attentati terroristici”.
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“Ma te pare che lo bocciamo! Oggi ho chiamato (….) che gli ha fatto la simulazione dell’esame e abbiamo praticamente concordato quello che gli farà l’esame! Oggi c’ho l’ultima lezione e me la devo preparare perché non spiccica na parola”.
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“E che livello dovrebbe passare questo ragazzo... B1?”.
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“Non dovrebbe, deve, passerà! Perché con 10 milioni a stagione di stipendio non glielo puoi far saltare perché non ha il B1”.
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"Considera che è un A1... un A1 pieno proprio"
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"Non c'è speranza!"
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"Eh... non coniuga i verbi, non coniuga i verbi! Parla all'infinito..."
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"Eh, allora, lui si sta un po' memorizzando le varie parti dell'esame"
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"Eh ma infatti, è questo. Deve essere su quel binario lì!"
Inevitabilmente viene da fare un confronto con un’altra vicenda che poco più di un mese fa ha visto protagonisti cinquantacinque aspiranti autisti che, in risposta ad un concorso per soli titoli bandito dalla Regione Lazio per l’assunzione di cento nuove unità da assegnare alle linee Cotral (Compagnia Trasporti Laziali) sulle direttrici Roma-Frosinone, Roma-Latina, Roma-Rieti e Roma-Viterbo, hanno esibito – al fine di aumentare il proprio punteggio – un attestato di scuola di lingua da cui risultava la conoscenza di livello intermedio-avanzato (B1) dell’inglese.
Peccato che, anche in quel caso, gli stessi attestati fossero falsi, acquistati (letteralmente) per l’occorrenza per il tramite di istituti in provincia di Napoli e Avellino nemmeno presenti nel database Miur. Difatti, i candidati esaminati – il cui reale livello di conoscenza della lingua inglese era pressoché simile al francese del “noiovulevonsavuàr” di Totò – non sono stati in grado di rispondere nemmeno ad un elementare “How are you?”, forti, forse, della consapevolezza che il divieto di “non parlare al conducente” non li avrebbe mai sottoposti allo stress di dover dare indicazioni ad un turista straniero!
Scoperta la truffa, il risultato è stato che il concorso è stato giustamente annullato e dovrà ripetersi.
Evidentemente in quel caso le “ragioni stipendiali” non hanno retto: quando mai un povero autista d’autobus arriverebbe a prendere 10 milioni di stipendio all’anno con la speranza che il suo shopping contribuisca a far girare l’economia del nostro paese?!