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Arriva alla quinta edizione il rapporto annuale sul lavoro domestico, presentato alla Sala Nassirya del Senato dell’Osservatorio “Domina”, un centro studi che raccoglie e monitora i trend del settore e tutela le famiglie nella gestione dei rapporti professionali.
Quello del lavoro domestico è ingiustamente considerato un settore dal livello di produttività bassa, che in realtà contribuisce per l’1% al Pil italiano, e soprattutto alleggerisce il peso sulle strutture sanitarie. Senza l’intervento delle famiglie, è stato calcolato che lo Stato dovrebbe mettere in conto una spesa pari a 19,8 miliardi in più per gestire strutture in grado di ospitare quasi 1 milione di anziani.
Ma il “vizietto” non cambia: secondo i dati più aggiornati, nel nostro Paese, a fronte di 1,86 milioni di lavoratori domestici, soltanto 900mila risultano regolari. Detto in altro modo, il 51,8% dei rapporti di lavoro di colf e badanti entra nel sommerso. Eppure, malgrado l’invecchiamento progressivo della popolazione italiana, nel 2022 la richiesta di colf e badanti è calata del 7,9% rispetto all’anno precedente, con 76.548 lavoratori in meno. I motivi, spiega il dossier, sono le conseguenze – peraltro attese – della conclusione della “sanatoria” che aveva consentito di regolarizzare di migliaia di lavoratori domestici stranieri. La conseguenza è che la spesa delle famiglie per il lavoro domestico è calata per la prima volta dal 2017, anno dal quale si è assistito ad un aumento progressivo costante, raggiungendo i 14,3 miliardi, di cui 7,7 per badanti e 6,6 per colf.
Un calo che a livello regionale si avverte di più in regioni come Campania, Basilicata e Calabria, dove la diminuzione si è attestata – rispettivamente - sul 13,5, 13,3 e 13,1%. Al contrario, si fa meno significativo in Sardegna (-1,9%), una delle regioni, insieme Lazio e Toscana, dove i lavoratori domestici rispetto ai residenti sono presenti in numeri elevati anche se, prendendo in considerazione tutto il territorio nazionale, Lombardia e Toscana sono le due zone d’Italia in cui il numero di colf, badanti e collaboratori domestici supera la media nazionale.
Curiosamente, racconta ancora il rapporto, mentre a livello nazionale la preferenza va verso i lavoratori stranieri (69,5%), a crescere come mai prima d’ora è il numero di domestici italiani (30,5%). Così come la componente maschile, un tempo assai rara, fa registrare la presenza di 121mila uomini presenti soprattutto in Sicilia (23%) e Campania (17%).
Resta comunque validamente dimostrata la teoria che vuole una massiccia presenza di manodopera proveniente dall’Europa dell’Est (35,4%), tallonata dagli asiatici (17%), che addirittura superano il 20% nelle regioni con la maggior richiesta di collaboratori domestici: Lazio (27,7%), Sicilia (24,7%), Campania (23,8%) e Lombardia (22,5%).
Per concludere, il quadro illustrato dall’Osservatorio Domina traccia l’identikit dei 978mila datori di lavoro italiani, calcolati in 109 ogni 100 lavoratori, a dimostrazione che sono molte le famiglie in cui si ricorra a più di una presenza.
In massima parte, il datore di lavoro “tipo” è rappresentato da donne (56,7), valore che raggiunge il massimo in Sardegna (57,1%), al contrario del Veneto, dove si concentra il maggior numero di datori di lavoro maschi (47,9%). Ovviamente, per il 93,8% si parla di italiani con età inferiore a 60 anni (31,2%) o superiore agli 80 (36,1%).
“I dati presenti nell’Osservatorio confermano il ruolo sociale del contratto collettivo del lavoro domestico che rappresenta il terzo per numero complessivo dei lavoratori – aggiunge Lorenzo Gasparrini, segretario generale di Domina - è quantomai necessaria una struttura di governance adeguata per trasformare il lavoro sommerso in lavoro regolare proponendo ai datori di lavoro incentivi finanziari. I tempi sono maturi per una riforma completa del settore capace di coinvolgere attivamente le parti sociali e capace allo stesso tempo di rispondere alle sfide demografiche, sociali ed economiche in corso nel nostro Paese”.