21 novembre 2020

Potrebbe interessarti anche:

Quotidiano
25 novembre 2023

Un’altra Giulia

Leggi l'articolo
Quotidiano
4 novembre 2023

C’è ancora domani

Leggi l'articolo
Quotidiano
9 settembre 2023

L’estate del branco

Leggi l'articolo
Quotidiano
11 novembre 2023

Unchild

Leggi l'articolo
21 novembre 2020

Non basta una giornata per dire basta

Autore: Ester Annetta
Non c’è bisogno d’andare troppo a ritroso nel tempo, ad epoche e tradizioni antiche, per datare, nella nostra cultura nazionale, quella concezione autoritaria che vede la superiorità dell’uomo sulla donna e la conseguente subalternità di quest’ultima.

Un tale squilibrato rapporto tra i sessi era anzi, perfino legiferato; il nostro codice penale – il c.d. Codice Rocco, dal nome del giurista che ne diresse la redazione sotto il Governo Mussolini, nel 1930 – rifletteva la condizione di netta inferiorità della donna rispetto all’uomo nel riconoscere, ad esempio, che l’adulterio fosse sanzionabile solo se compiuto dalla moglie, laddove il marito poteva incorrere in sanzione solo se avesse accolto la propria concubina nella casa familiare o l’avesse collocata in un altro luogo noto; che spettasse un’attenuazione della pena a “chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell'atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d'ira determinato dall'offesa recata all'onor suo o della famiglia”; che riconosceva al “matrimonio riparatore” una valenza “purificatrice”, atta a estinguere pure il reato di violenza carnale, persino se commesso ai danni di una minorenne, poiché la violenza sessuale era considerata oltraggio alla morale e non reato contro la persona.

È stato lungo il cammino per depurare la nostra legislazione dalla distorta visione che assecondava la differenza di diritti basata sulla differenza di sesso: i primi interventi di correzione al codice Rocco giunsero con due sentenze della Corte Costituzionale (n.126 del 19 dicembre 1968 e n.147 del 3 dicembre 1969) che dichiararono illegittimi gli articoli 559 e 560 del codice penale in tema di adulterio e concubinato, affermando che in essi si identificava “l’impronta di un’epoca nella quale la donna non godeva della stessa posizione sociale dell’uomo e vedeva riflessa la sua situazione di netta inferiorità nella disciplina dei diritti e doveri coniugali”.

Ci sono poi voluti - ancora sul finire degli anni ’60 - il rapimento, la violenza ed il rifiuto del matrimonio riparatore di una coraggiosa giovane ragazza siciliana – Franca Viola, divenuta perciò un simbolo di libertà e dignità per tutte quelle donne che dopo di lei avrebbero subito le medesime violenze e avrebbero avuto il coraggio di opporsi alla farsa di un matrimonio non voluto – ad avviare il processo che avrebbe portato più tardi, nel 1981, all’abrogazione delle norme sul “matrimonio riparatore” e sul “delitto d’onore”.

La presa di coscienza di una inaccettabile disparità ma, soprattutto, del perpetuarsi di tanti, troppi, atti di violenza ai danni delle donne è proseguita fino ad arrivare a riconoscerli come fenomeno sociale da combattere, cosicché la Dichiarazione di Vienna del 1993 ha ammesso che «I diritti umani delle donne sono un’inalienabile, integrale e indivisibile parte dei diritti umani universali. La completa ed uguale partecipazione delle donne nella vita politica, sociale ed economica a livello nazionale, regionale ed internazionale e lo sradicamento di tutte le forme di discriminazione in base al sesso sono l’obiettivo prioritario della comunità internazionale». È perciò iniziata, anche in Italia, una costante opera di modernizzazione della legislazione, che è giunta, dapprima, alla ratifica della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (L. 27 giugno 2013 n. 77) ed alla successiva emanazione, in attuazione della stessa, della cosiddetta legge sul femminicidio (D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito nella L. 15 ottobre 2013, n. 119); infine, alla recente approvazione del c.d. Codice Rosso (L.19 luglio 2019, n. 69), che ha introdotto una particolare procedura d’urgenza per tutti i delitti di violenza domestica, di stalking e, più in generale, di abusi e maltrattamenti familiari.

Eppure non basta.

Le cronache quotidiane continuano a riportare, con preoccupante frequenza, episodi di violenza e femminicidi.

Il primo rapporto di valutazione sull’attuazione della convenzione di Istanbul in Italia pubblicato a gennaio di quest’anno dal Grevio (gruppo di esperti del Consiglio d’Europa per la lotta contro la violenza nei confronti delle donne) ha esortato le autorità italiane ad adottare misure più efficaci per proteggere le donne dalla violenza; un rapporto parallelo redatto da trenta associazioni italiane che si occupano di violenza sulle donne, ha messo in luce quali siano le maggiori difficoltà che vanificano l’efficacia degli interventi di contrasto alla violenza sulle donne: la discrepanza tra le norme adottate e la loro applicazione in concreto, l’applicazione disomogenea delle norme sul territorio nazionale, la mancanza strutturale di finanziamenti e di servizi per la prevenzione del fenomeno e per la protezione delle vittime (centri antiviolenza e case rifugio).
A ciò si aggiungano i dati concreti: il Dossier Viminale 2020 presentato lo scorso agosto a Milano in occasione della riunione del “Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica”, ha evidenziato che durante il lockdown si sono triplicati gli omicidi che hanno avuto come vittima una donna, arrivando a un femminicidio ogni due giorni.

Dati analoghi, a livello mondiale, sono stati confermati dall’ultimo rapporto dell'Onu.

La chiusura imposta dalla pandemia ha infatti costretto alla convivenza forzata molte donne con rapporti difficili in famiglia, in balia di mariti e compagni violenti da cui tentavano di separarsi, a riprova, ancora una volta, che i luoghi comuni che vorrebbero extracomunitari-barbari, sbandati di periferia, malati di mente e tossici colpevoli di violenze di genere sono sfatati da un’opposta evidenza, che dimostra come spesso il carnefice o l’assassino abbia le chiavi di casa.

Ma la violenza non è necessariamente solo quella che si tinge di sangue; le sue forme, le sue espressioni, sono molteplici e non colpiscono solo il corpo ma lacerano nel profondo anche l’anima e la mente.

È violenza anche l’essere attaccata o minacciata verbalmente, l’essere sminuita e derisa, l’essere controllata costantemente e in modo soffocante, il vedersi negata la minima autonomia economica, l’essere ridotta psicologicamente ad una tale condizione d’inferiorità da divenire vittima d’ogni forma di supremazia e d’abuso.

Sono situazioni frequenti, tristemente comuni ad ogni latitudine terrestre, altrove, anzi, tradotte in ulteriori forme di sudditanza che legittimano persino l’abominio di spose bambine e disumane mutilazioni.

Era il 25 novembre del 1960 quando i corpi delle tre sorelle Mirabal - attiviste impegnate a contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo, il dittatore che teneva la Repubblica Dominicana nell’arretratezza e nel caos – furono ritrovati in fondo a un precipizio. Patria, Minerva e Maria – nome in codice “Las Mariposas”, le farfalle - si erano recate a far visita ai loro mariti in carcere quando furono bloccate sulla strada da agenti del Servizio di informazione militare che le portarono in un luogo nascosto, le torturarono, le stuprarono, le massacrarono a bastonate e, infine, le strangolarono.

Il loro sacrificio fu commemorato per la prima volta il 25 novembre 1980 durante il primo Incontro Internazionale Femminista a Bogotà.

Da allora quella data ha iniziato ad assumere un valore sempre più simbolico, fino ad essere riconosciuta dall’assemblea generale delle Nazioni Unite, il 17 dicembre del 1999 (con la risoluzione 54/134), “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”.

Basta una data a dire basta? O, ancora una volta, siamo di fronte alla consueta celebrazione di una ricorrenza simbolica, capace di destare l’attenzione e le coscienze per un breve arco di tempo, per poi essere dimenticata fino all’anno successivo?

Lo sforzo potrà dare frutto solo se l’impegno sarà massivo, supportato da strumenti efficaci, continuo ed indefesso nella direzione di voler scardinare, più che il fenomeno, le idee e le convinzioni che vi presiedono.
Altrimenti, finché persisterà la cultura della superiorità del maschio sulla femmina, più prossima al mondo animale che non a quello umano, ogni intervento sarà destinato al fallimento.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

Potrebbe interessarti anche:

Quotidiano
25 novembre 2023

Un’altra Giulia

Leggi l'articolo
Quotidiano
4 novembre 2023

C’è ancora domani

Leggi l'articolo
Quotidiano
9 settembre 2023

L’estate del branco

Leggi l'articolo
Quotidiano
11 novembre 2023

Unchild

Leggi l'articolo
Iscriviti alla newsletter
Fiscal Focus Today

Rimani aggiornato!

Iscriviti gratuitamente alla nostra newsletter, e ricevi quotidianamente le notizie che la redazione ha preparato per te.

Per favore, inserisci un indirizzo email valido
Per proseguire è necessario accettare la privacy policy