Il manto stradale della capitale - tante volte attenzionato dalle cronache cittadine, a causa del cattivo stato manutentivo che ha spesso causato danni ed incidenti ai cittadini – è finito ancora una volta nel mirino, interessando stavolta il più alto grado di giurisdizione.
La vicenda è quella di un motociclista che, nel 2010, ha convenuto in giudizio il Comune di Roma chiedendo il risarcimento dei danni riportati a seguito di una caduta conseguente alla perdita di controllo del proprio motociclo causata dalla presenza di una sostanza oleosa sul manto stradale, caduta da un furgone dell’immondizia.
Il Tribunale di Roma, con sentenza del 2014, ha accolto la domanda del motociclista; ma il Comune di Roma, impugnata la pronuncia, ne ha successivamente ottenuto la riforma a proprio vantaggio in Corte d’Appello, con sentenza del 2018.
La parte soccombente ha, dunque, proposto ricorso in Cassazione contro detta pronuncia, sollevando i seguenti motivi:
• violazione dell'art. 2700 c.c che disciplina l'efficacia dell'atto pubblico (nello specifico, il riferimento è all’art. 360 cpc 1° comma, n. 4: nullità della sentenza o del procedimento);
• omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (con riferimento all’art. 360 cpc 1° comma, n. 5: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti);
• violazione dell'art. 132 c.p.c che si occupa di definire il contenuto della sentenza (e dunque sempre con riferimento all’art. 360 cpc 1° comma, n. 4).
La Cassazione, con l'ordinanza n. 6826/2021 ha però dichiarato inammissibile il ricorso, rifacendosi al principio di diritto secondo cui la Pubblica Amministrazione è libera dalla responsabilità per danni da cose in custodia, così come contemplata dall'art. art. 2051 c.c. (secondo cui “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”), in relazione ai beni demaniali, se fornisce la prova liberatoria che l'evento è stato provocato da cause esterne e improvvise create da terzi, non conoscibili e non eliminabili immediatamente neppure con la più diligente attività di manutenzione. Parimenti è libera anche quando l’evento esplica la sua potenzialità offensiva prima che, anche con la diligenza richiesta dallo specifico caso concreto, l’ente riparatore possa intervenire, ossia quando, in caso d'improvvisa e imprevedibile alterazione dello stato della strada, l'evento di danno si verifica prima che l'ente proprietario sia in grado di porre rimedio, nonostante il controllo effettuato con diligenza, per scongiurare tempestivamente la straordinaria e imprevedibile situazione di pericolo che si è determinata.
In sostanza, per la Suprema Corte la Pubblica Amministrazione (il Comune, nella specie) non è responsabile se il motociclista cade subito dopo che il furgone dell'immondizia ha perso del liquido, perché non ha il tempo di pulire.
Riprende, a riguardo, la ratio decidendi della sentenza d’Appello impugnata, secondo cui "Anche a voler ammettere che, contrariamente alla cennata evidenza planimetrica, il (motociclista) sia effettivamente incappato con il proprio scooter in una chiazza di liquido rilasciata da un camion addetto alla raccolta della spazzatura […] occorre considerare che la stessa è apparsa ai vigili urbani praticamente già "essiccata" una decina di minuti dopo il sinistro (15 minuti recita la Relazione) a dimostrazione che il rilascio sulla carreggiata era avvenuto da pochissimo tempo rispetto al presunto slittamento del motociclo” sicché “è pacificamente escluso che la cadenza temporale tra il rilascio della sostanza viscida ed il verificarsi del sinistro potesse consentire a Roma Capitale un qualsiasi intervento a salvaguardia dell'incolumità e sicurezza del traffico veicolare, atteso il modesto o modestissimo intervallo intercorso.", motivazione che il ricorrente non ha censurato e che fa si, sempre secondo la Cassazione, che il ricorso debba essere rigettato nella sua interezza, secondo l’orientamento già espresso in precedenti proprie sentenze.
La suddetta ratio decidendi è inoltre – secondo la Suprema Corte - conforme al proprio consolidato orientamento già espresso in precedenti pronunce, in particolare, la sentenza n. 9631 del 19 Aprile 2018. In quel caso, la vicenda aveva riguardato un motociclista che aveva convenuto in giudizio l'Anas, quale custode di un tratto autostradale, per vedersi risarciti i danni subiti a seguito di una caduta provocata da una estesa macchia d'olio presente sul manto stradale all'interno di una galleria. Il Giudice di pace di Salerno aveva accolto la domanda risarcitoria e la sentenza era stata altresì confermata in appello dal Tribunale di Salerno, il quale aveva riconosciuto la responsabilità dell'ente gestore attesa l'assenza di imprevedibilità e di inevitabilità dell'evento dannoso, la mancata segnalazione del pericolo e l'assenza di negligenza nella condotta di guida del danneggiato.
Sul ricorso per cassazione proposto dall'Anas, la Suprema Corte ha ripercorso brevemente i principi che sorreggono la responsabilità derivante da cosa in custodia, premettendo che “a carico dei proprietari o concessionari delle autostrade, per loro natura destinate alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, è configurabile la responsabilità per cosa in custodia, disciplinata dall'art. 2051 cod. civ., essendo possibile ravvisare un'effettiva possibilità di controllo sulla situazione della circolazione e delle carreggiate, riconducibile ad un rapporto di custodia”. Successivamente ha evidenziato come “l'ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse in modo immanente alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione, salvo che dia la prova che l'evento dannoso era imprevedibile e non tempestivamente evitabile o segnalabile”. Infine, ha ritenuto che il Tribunale non si sia attenuto ai principi consolidati della giurisprudenza di legittimità in materia di responsabilità ex art. 2051 Cc., sottolineando, per l’appunto, il sopra riportato principio di diritto, ed ha pertanto accolto il ricorso.
Nella specie, inoltre, è stato altresì evidenziato dalla Corte che qualora "il fatto del terzo", abbia avuto una incidenza causale esclusiva nella determinazione del danno, possa identificarsi con quel “caso fortuito” che, ai sensi dell’art. 2051 c.c., esonera da responsabilità il custode. In tal senso, sempre secondo la Cassazione, la responsabilità del custode deve, a maggior ragione, essere esclusa anche nell'ipotesi di fatto doloso del terzo, a prescindere dalla sua identificazione, atteso che “l'individuazione precisa del terzo non costituisce un elemento essenziale per la prova dell'interruzione del nesso eziologico. Ovviamente, l'impossibilità di indicare la persona del terzo non deve essere confusa con l'incertezza sull'effettivo ruolo che un terzo abbia avuto nella produzione dell'evento”.