5 settembre 2020

Senza Sky è una galera

Autore: Redazione Fiscal Focus
È ciò che viene in mente accostando tra loro due vicende che, sebbene per ragioni opposte, hanno sollecitato un intervento della Cassazione per risolvere “problematiche” legate all’accesso a tale nota emittente.

La prima (che peraltro non è rimasta isolata) risale già a qualche anno fa; protagonista ne era stato un signore di Palermo che, ingegnandosi con un decoder-fai-da-te collegato a internet, tv e satellite, per mesi aveva guardato “a sbafo” i programmi di Sky senza utilizzare la prevista smart-card. Dopo essere stato condannato già in primo grado e nuovamente in Appello alla pena di quattro mesi di reclusione ed euro 2mila di multa per aver agito in violazione dell’art. 171 octies L. 633/1941, l’uomo aveva presentato ricorso in Cassazione, rilevando “l’erronea qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 171 octies L.633/1941, norma del tutto residuale riservata esclusivamente ad attività illecite a livello professionale, deponendo invece il riferimento ad un canone imposto per l’accesso alla visione dei programmi dell’emittente Sky e lo scopo di lucro sotto il profilo soggettivo da contrapporsi a quello fraudolento, assente nella fattispecie, per la riconducibilità della condotta nell’alveo normativo dell’art. 171 ter comma 1. lett.f) L. 633/1941”. Aveva anche contestato la circostanza che i giudici non avessero tenuto conto della sua versione dei fatti, in quanto aveva precisato di aver acquistato i codici di decodifica sul web.

La Cassazione, però, aveva respinto il ricorso considerandolo inammissibile e infondato, affermando la corretta applicazione delle norme da parte dei giudici di primo e secondo grado allorché avevano ricondotto nell’ambito della norma citata la condotta incriminata essenzialmente per la circostanza in sé d’esser consistita nella decodificazione ad uso privato di programmi televisivi ad accesso condizionato - e, dunque, protetto - eludendo le misure tecnologiche destinate ad impedire l’accesso da parte dell’emittente, indipendentemente dal rilievo delle concrete modalità con cui detta elusione fosse stata attuata, rilevando in ogni caso esclusivamente la finalità fraudolenta nel mancato pagamento del canone occorrente per l’accesso ai programmi di Sky.

In finale, l’uomo era dunque finito in carcere.

La seconda vicenda – più recente, di appena qualche giorno fa – vede invece protagonista un altro uomo che, già in carcere, a Cuneo, per altre ragioni, ha rivendicato il diritto di poter vedere in tv ulteriori canali oltre a quelli già consentiti dall’amministrazione penitenziaria: in particolare quelli tematici sportivi trasmessi da Sky, essendo egli un appassionato di calcio. Avrebbe perciò contattato il magistrato di sorveglianza, offrendosi persino di pagare lui stesso il previsto canone pur di poter attivare Sky Sport e Premium Sport sui televisori della casa circondariale.

Il magistrato, però, non ha acconsentito alla richiesta, replicando che, fermo restando il diritto di chi è recluso a tenersi informato, è sufficiente al tal fine garantire ai detenuti la visione di ventuno canali televisivi (segnatamente: Rai1, Rai2, Rai3, Rai4, Rai5, Rai News 24, Rai Movie, Rai Scuola, Rai Storia, RaiSport 1 e 2, Rai Premium, Yoyo, Gulp, Canale 5, Rete 4, Italia Uno, La Sette, Cielo, Iris e Tv 2000), secondo quanto previsto dalla Circolare dell’Amministrazione Penitenziaria e senza eccezioni o integrazioni.

Non pago, il detenuto ha allora investito della questione la Cassazione penale, lamentando addirittura una violazione dell'articolo 21 della Costituzione a causa del rifiuto del magistrato di avere un confronto diretto con lui, sostenendo altresì la violazione di un suo diritto soggettivo alla concessione della visione di altri canali.

La suprema Corte non ha tuttavia ritenuto fondata le pretesa del contraddittorio avanzata dal detenuto, sostenendo la liceità della decisione del magistrato a prescindere dallo stesso.

Rilevata inoltre, la portata di provvedimento generale della Circolare dell’Amministrazione Penitenziaria relativa ai ventuno canali - come tale rivolta dunque a tutti i detenuti senza, perciò, possibilità che il singolo possa lamentare la violazione di un proprio, individuale, diritto soggettivo - la Cassazione ha respinto il reclamo del detenuto, condannato pertanto anche al pagamento di 3mila euro di spese processuali.

Ça va sans dire: c’è chi a causa di Sky finisce in carcere e chi patisce più la mancanza di Sky che il carcere stesso.

“Mai più senza” è uno slogan riuscitissimo.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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