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Aveva un sorriso bellissimo Antonella Sicomoro, di quelli che catturano e trapassano.
Se provate a cercare in rete qualche sua foto, ne troverete ancora qualcuna che non è stata pixellata (come in fondo sarebbe corretto, trattandosi pur sempre di una minore), da cui traspare tutta la gioia di vivere di quella bambina che, com’è ormai connaturato alla sua generazione, sarà stata certamente molto spigliata, allegra, comunicativa.
Ai miei tempi (più o meno mezzo secolo fa) i bambini molto estroversi avevano al massimo quello delle recite scolastiche come palcoscenico per esibirsi; tante “vetrine”, tanti “specchi” attraverso cui o su cui riflettersi quanti ce ne sono oggi, allora non c’erano. Erano, quelli, tempi e contesti che di certo non possono oggi suscitare rimpianto se si guarda al progresso ed alle opportunità; viceversa, si trattava senz’altro d’un’epoca migliore quanto a sicurezza e ad efficacia dei metodi educativi.
Antonella aveva dieci anni e pare avesse già una decina di profili social tra cui saltellava (anche nel vero senso del termine) mostrando le sue performance di ballerina, cantante, show girl in brevissimi video deputati a cogliere fugacemente l’attenzione dei suoi followers. Un gioco, certo, non meno creativo ed espressivo di quello che le sue coetanee di qualche generazione fa avrebbero inventato immaginando avventure delle loro bambole o dei loro peluche, ma evidentemente più solipsistico e gratificante.
Ho una nipote di undici anni (che, ahimè, per ragioni di lontananza vedo poco) che mi ha introdotto nell’universo di Tik Tok, mostrandomi i suoi video fai-da-te, in cui doppia cantanti, ne imita le movenze o si cimenta in prove di trucco e parrucco. Il tutto con la naturalezza di un’attrice provetta e la disinvoltura di una diva.
Confesso che dapprincipio la cosa mi ha incuriosito e divertito, cogliendo la valenza espressiva di quello strumento, il modo in cui poteva risultare disinibente e favorire la comunicatività.
Poi, però, ne sono rimasta disorientata e turbata, quando ho notato la spinta che comporta verso l’esibizionismo esasperato e la competitività: non si tratta, infatti, solo di un simpatico strumento per “atteggiarsi”, un piccolo “circo” fine a se stesso, ma spesso si traduce, più subdolamente, in un meccanismo imitativo e sfidante che può inevitabilmente alterare il confine tra ciò che è gioco e la realtà. Il tutto, come sempre, nell’ottica di vincere la gara dei consensi.
Pare che sia stata proprio una sfida ciò che ha causato la morte di Antonella, che qualche sera fa, dopo aver cenato con i suoi genitori e la sua sorellina, si è chiusa in bagno, dove, poco dopo, è stata ritrovata ormai in fin di vita, stretta al collo da un laccio con cui aveva voluto probabilmente dimostrare ad un pubblico di spettatori sconosciuti ed invisibili il suo limite di resistenza all’asfissia autoindotta.
È un assurdo inaccettabile, che spinge a porsi il serio interrogativo su quale mondo sia quello che stiamo consegnando ai nostri figli se, nel dotarli di mezzi rivoluzionari che noi neppure sognavamo, non siamo poi altrettanto capaci di fornir loro anche un corretto manuale d’istruzioni che ne espliciti il retto impiego.
Non è un discorso di colpe, ma piuttosto di responsabilità, intesa come impegno imprescindibile dell’adulto – presumibilmente più accorto ed assennato, almeno quando non si faccia a sua volta avvincere dal profilo (termine non casuale) beota dei social - di supervisionare i comportamenti dei più piccoli, di essere attento e presente, di non lasciarli soli, chiusi nelle loro camerette, che, evidentemente, non sono più luoghi sicuri com’erano un tempo.
Il rischio, visibile e concreto, è che quelle giovani greggi lasciate senza custode possano incappare in visitatori, seguaci o interlocutori ambigui o pericolosi, ladri d’innocenza mascherati da impresari gentiluomini o anche coetanei, altrettanto ingenui ed incoscienti, non in grado di ponderare le conseguenze dei loro esperimenti estremi.
Sarebbe invece più saggio che avessero più attenzioni, che non venisse relegato agli strumenti elettronici il ruolo di baby sitter e, anzi, fossero loro proposti punti di riferimento reali e non artificiali, guide concrete e non miti ideali, modelli più sani da imitare.
Soprattutto sarebbe più utile che si insegnasse loro che è un altro il coraggio che serve dimostrare per poter sopravvivere in questo mondo.