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Con senso di responsabilità, nei giorni scorsi abbiamo ritenuto necessario trasmettere una nota alla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e ai Ministeri competenti per le professioni ordinistiche. Lo abbiamo fatto in silenzio, mentre da giorni assistiamo a una gestione della comunicazione che sta profondamente turbando tanti colleghi. Non avremmo voluto dover intervenire pubblicamente. Ma non possiamo restare indifferenti di fronte a quanto sta accadendo. Il Consiglio Nazionale, in una sua recente comunicazione ufficiale, ha offerto una ricostruzione dei fatti che, con dispiacere dobbiamo dirlo, non corrisponde alla realtà. Si afferma che la proposta di riforma dell’ordinamento professionale sarebbe stata “approvata da 100 Ordini su 132”. Ma nessuna votazione formale è mai avvenuta. Nessun verbale. Nessun dato ufficiale. Solo numeri annunciati, senza alcun confronto trasparente. Diversi Presidenti di Ordini territoriali, espressione di sensibilità diverse e territori differenti, si sono già espressi pubblicamente per smentire tale affermazione. Non con polemiche, ma con senso delle istituzioni. Eppure, questa rappresentazione dei fatti è stata diffusa attraverso i canali ufficiali del Consiglio Nazionale.
Quegli stessi strumenti che dovrebbero garantire equilibrio, rispetto e trasparenza, sono stati usati per veicolare un messaggio parziale, che ha finito per alimentare divisioni e confusione. Chi ha letto quella comunicazione istituzionale, ha probabilmente creduto che esistesse una maggioranza schiacciante. Non era così. E non lo è. Non è solo una questione procedurale. È una questione di fiducia. Per mesi si è parlato di dialogo. Di condivisione. Di apertura. Ma alla prova dei fatti, ci troviamo davanti a un progetto di riforma che è stato di fatto consegnato alla politica prima ancora di essere discusso con la categoria. Un testo definito altrove, in tempi rapidi, senza il confronto che era stato promesso. Di fronte a questo scenario, le parole usate nella replica del Presidente De Nuccio – che parla di critiche “strumentali”, di attacchi “elettorali”, di “rendite di posizione”, lasciano davvero interdetti. Non tanto per il contenuto, quanto per il rovesciamento che operano: come se la legittima richiesta di confronto diventasse un attacco personale. Come se dissentire fosse un reato. Per questo, ci sentiamo in dovere di prendere posizione. Non per difendere un gruppo contro un altro.
Ma per difendere l’integrità di un metodo che appartiene tutti: quello del rispetto, della collegialità, della democrazia interna. Chiediamo chiarezza. Chiediamo verità.
E, soprattutto, chiediamo rispetto. Per questo motivo, esprimiamo un dissenso netto e ampiamente condiviso rispetto a:
Roma, 20 maggio 2025